Imita i corvi e ama la zia
Qui nasce e prende vita la vicenda di Fritz Zemanek, protagonista di grande fascinazione del romanzo, il primo di Francesco Fontana, «L'imitatore di corvi» (Feltrinelli, 15 euro), di una eccezionale abilità canora nell'imitare il verso dei corvi, appunto, ma altrettanto protagonista di una vicenda di educazione sentimentale e poi d'amore con sua zia Lotte, solo di poco più grande di lui. Sembra scritto da un narratore della Mitteleuropa questo intreccio che si avvale di una prosa agile e spontanea. Come esordio, complimenti. È un romanziere molto particolare il nostro Carmine Abate, nato in Calabria, a Carfizzi, un paese dove ancora si parla albanese, l'alberesh per la precisione, emigrato in Germania molto giovane e ora insegnante nel Trentino. Ha già scritto romanzi di buon successo, e ora torna in libreria con «Il mosaico del tempo grande» (Mondadori 18 euro), una storia concentrata sul protagonista Antonio Damis, costretto a fermarsi a Hora, cittadina fondata dagli albanesi, dove incontra una bionda incendiaria che cambia la sua vita. Scrittore che concentra molto,la sua attenzione sul linguaggio più che sull'azione narrativa, Abate Fornisce la sua migliore prova letteraria, in bilico fra nostalgia e fallimento, fra immigrazione e identità vanamente perseguita. Circola una temperie molto particolare, quasi misteriosa, in questa nuova silloge di Giuseppe Conte, poeta/protagonista della nostra vicenda creativa, sotto un titolo che sembra confrontarsi nel contrasto, «Ferite e fioriture» (Mondadari, 9.40 euro), ma che poi, fin dal primo verso, sceglie il canto libero come percorso ideale per vivere e reperire la necessaria alternanza fra il dolore e la gioia. Il fluire degli anni acquista così una sua interiore consapevolezza, che offre un tessuto ricompositivo, struggente al contempo, sul quale la tramatura della lingua poetica gioca un ruolo essenziale, in un gioco d'amore che coinvolge una terra, la Liguria, e una donna che stimola con tenacia l'esigenza del canto. C'è sale e pepe, incantamento e sostanza di giudizio in questo vagabondare degli anni Sessanta si Alberto Arbasino fra Grecia e Turchia, a caccia di paesaggi, non soltanto, ma di genti e di popoli, soprattutto. «Dall'Ellade a Bisanzio» (Adelphi, 12 euro, è tuttavia un vagabondaggio della conoscenza, a tratti folgorante nelle scoperte, a volte sotteso di disincanto, sempre toccato da forti contrasti sociali. Eccolo ad Atene, in ascesa verso l'Acropoli: «Su per l'erta triste, fuori dall'uscio di una baracca desolata...un povero bambino di otto o nove anni, col suo testone rapato, faceva il suo compito di scuola su una seggiolina...» Parte da una boutade amara e divertente, Sebastiano Vassalli, quando ricorda furbescamente che se il genere umano ha realizzato una sorta di uguaglianza, l'ha fatto solo «dalla cintola in giù». Non si pensi subito a male: si tratta dalla diffusione a quintali e universale dei jeans. E allora ecco Vassalli raccontare storie del passato e di un incombente presente, non con la solita geremiade stucchevole, bensì con la grazia che gli viene da una singolare vena di scrittore ben collaudato. Il titolo? Manco a dirlo «La morte di Marx», (Einaudi, 16.50 euro), che vuol dire anche fare i conti con la contemporaneità che esige tempi e scadenze degni di una svolta che forse richiedeva maggiore consapevolezza. Stav Sherez è un giornalista e critico musicale francese, evidentemente un po' ossessionato dall'universo di follia che ci circonda, nell'intero pianeta. Arriva in Italia con il suo primo romanzo «La giostra del diavolo» (Newton Compton, 9.90 euro), che apre con un morto stecchito in un parco di Amsterdam, un vagabondo che viene duramente torturato, prima di andarsene all'altro mondo. Non resta altro al detective Ronald Van Hijn che mettersi sulle piste di questo serial Killer.