L'hip-hop diventa musica da museo
Dopo oltre tre decenni di vita, l'hip-hop entra nel salotto buono della cultura americana, lo Smithsonian, andando a prendere posto al fianco di cimeli come la bandiera che ispirò «Star-Spangled Banner» (l'inno nazionale americano) o la ricostruzione del locale di Greensboro, in North Carolina, dove quattro studenti neri ribelli scrissero nel 1960 una storica pagina nella lotta per i diritti civili. Il National Museum of American History, uno dei musei gestiti sul Mall di Washington dalla Smithsonian Institution, ha deciso che è tempo di dedicare un'esposizione permanente alla cultura che ha generato, negli anni, fenomeni come la breakdance, i graffiti e la musica rap attuale. Vecchi dj e musicisti hip-hop della prima ora stanno facendo a gara ad aprire i propri ripostigli e tirar fuori album di vinile, giacche di jeans colorate, vistosi gioielli e perfino i grandi microfoni con i quali i re delle discoteche si lanciavano nei loro sermoni a ritmi sincopati. «Adesso a chiunque abbia qualcosa da dire sulla mia musica, potrò dire, con una raffica di insulti, di andare al museo», ha commentato il gangsta-rapper Ice-T, che ha donato le proprie magliette d'epoca e una collezione di dischi rari. La mostra permanente si chiamerà «Hip-Hop won't stop: the beat, the rhymes, the life» e richiederà alcuni anni e due milioni di dollari per essere completata. Gli esperti dello Smithsonian, che hanno appena annunciato l'avvio del progetto, gireranno l'America per raccogliere la storia orale della cultura hip-hop e migliaia di memorabilia da esporre nel museo a due passi dalla Casa Bianca e dai monumenti storici di Washington. Una consacrazione che pone ora il genere a un livello di rispettabilità pari a quello del jazz. Alla presentazione dell'iniziativa, si sono presentati praticamente tutti i nomi storici dell'epoca: Afrika Bambaataa, Grandmaster Flash, Russell Simmons, DJ Kool Herc, tra gli altri.