Povera musica misurata con il bilancino
La Nicolai, cantante jazz, moglie del sassofonista Stefano Di Battista, da oggi, dopo la deroga della prima passerella di ieri sera, dovrà operare un robusto taglio al suo brano, «Lei ha la notte», una canzone dal testo "difficile", come si sarebbe detto anni fa, quando ogni composizione passava il vaglio della censura. Una questione di regolamento, certo, ma anche di tagli musicali, di versioni live che risulteranno lontane se non addirittura estranee a quelle discografiche. I cantanti tacciono, oppure protestano molto sommessamente, ma in realtà esiste un problema musicale, un atteggiamento ancora una volta incoraggiato dai discografici. Viviamo in un clima di agriturismo musicale, dove ogni canzone vive un'espressività diversa dipendentemente dal contenitore che la ospita. C'è la versione radiofonica, quella discografica, per concerti dal vivo, per gli show-case, per le comparsate televisive. Versioni strutturalmente diverse, dalle quali non è più lecito stupirsi, alle quali i cantanti acconsentono con disciplina. Alla luce di tali considerazioni, che non contemplano solo la valenza tecnica, viene da chiedersi che musica ascolteremo in questa edizione del festival e soprattutto se certe (impercettibili?) differenze avranno qualche peso all'interno delle valutazioni generali. Non influenzeranno certamente le giurie demoscopiche, composte da giovanissimi, dunque da un pubblico abituato a saltare da un supporto all'altro, ma almeno all'interno dell'"eccellenza italiana" - come Giorgio Panariello ha tenuto a definire i brani in gara - considerando che i big sono presenti qui a "chiamata", praticamente ingaggiati. Anna Oxa, autentico oggetto misterioso della rassegna, rischia di fare la parte della raccomandata o peggio ancora della diva bizzosa, poiché il suo brano, «Processo a me stessa», supera di gran lunga il tempo concesso. È incredibile che i cantanti (o chi per loro), invece di preoccuparsi della bontà dei loro brani, siano qui a misurare con il compasso la durata di strofe e ritornelli, accapigliandosi spesso in modo disumano e creando ripicche e gelosie degne di cause più nobili. La forma canzone è un concentrato di suggestioni ed analizzarla con il bilancino del farmacista non serve a nulla. Eppoi chi ha detto che rimanere sul palco di più costituisce un vantaggio? Una tesi tutta da dimostrare e facilmente demolibile. La vecchia regola dello spettacolo di abbandonare il palcoscenico lasciando un pubblico voglioso è ancora valida, soprattutto a Sanremo. Invece si preferisce stendere il publico, renderlo inoffensivo, vinto, passivo fino alle estreme conseguenze. Vecchi leoni del mestiere come Ron e Spagna, tanto per fare un esempio, dovrebbero ben conoscere certi accorgimenti, eppure preferiscono difendere il loro spazio all'arma bianca. Per non parlare dei giovani, abituati alle suonerie, alla telefonia che sempre più gestisce il loro lavoro, alle radio che tagliano quasi tutte le introduzioni strumentali eccedenti un canone da loro stesse definito. Macchè. Quest'anno a Sanremo si vive una netta separazione tra ragione ed emozione. Tutto ciò che la nostra ragione e la nostra esperienza sanno sul festival è negativo: l'abboffata delle canzoni che non sono belle come quelle degli anni passati, i comici che non fanno ridere, la malinconia dei cantanti e tutto il resto. Ma alla fine l'emozione veicolata a Sanremo costituisce un'immagine più forte di qualsiasi concetto. Il transfert emotivo vince e una cantante come Anna Oxa, che ha viaggiato lungamente in India per trovare il suo equilibrio interiore, certe cose dovrebbe saperle, invece di minacciare di abbandonare l'Ariston se la sua canzone non dovesse andare integralmente. Il vero problema non sarà la durata, quanto piuttosto l'omologazione, quel conformismo strisciante che porta le canzoni a suonare tutte allo stesso modo. Eppure sembra essere l'ultimo problema dei cantanti. Il maestro Renato Serio, unitamente al alcuni dei vetera