IL GRAFFIO
Anche in scena la legge sia uguale per tutti
Tranquilli, non sul palco: stavolta non c'è cifra o condizione che possa spingermi lì sopra, neppure in extremis. Ma l'Associazione dei Fonografici Italiani ha deciso di onorarmi con un premio alla carriera, lo stesso che nel corso degli anni era stato attribuito a personaggi come Celentano o Mina. E così, in qualche modo, anche quest'anno il vostro scolaretto Carrisi non sarà un assente ingiustificato dalla Città dei Fiori. È come una spinta irresistibile, quella che mi porta lassù. È il mio punto debole, il mio vizio segreto. Del resto, non ne ho altri: al Casinò ci sono stato solo per cantare, quando la manifestazione si svolgeva lì. Avevo esordito nel 1965, naturalmente nella categoria "giovani" (che erano ospitati all'Ariston, diversamente dai big): si doveva presentare una canzone già edita, io scelsi "Devo dirti di no", versione italiana di un successo dei Temptations. Capii subito che niente può travolgerti come Sanremo: che è una vera fabbrica di emozioni. Io ho cantato in tutto il mondo, ma niente mi ha mai scosso così profondamente come quel microfono. Sempre. Alla vigilia di quel debutto, avevo la tremarella. Poi, quando attaccò l'orchestra, tutto passò, e prevalse l'animale da palcoscenico. Vinse Dalla, tra gli altri partecipanti ricordo Teocoli. Tre anni dopo, ero di nuovo lì, stavolta tra i campioni. Avevo già conosciuto il grande successo con "Nel sole", avevo trionfato al Festival delle Rose, come a Malta o Pesaro. Ma Sanremo era un'altra cosa. Arrivai settimo con "La siepe", e di nuovo quell'emozione totale, sopratutto quando mi vidi passare accanto Louis Armstrong, Timi Yuro, o la stessa Bobbie Gentry, che cantava il mio stesso brano. Tutti sembravano davvero coinvolti dal magico carisma del luogo, e così è sempre stato. Di recente anche un gigante della voce come Michael Bolton mi è parso turbato, dietro le quinte. Quanto al caso-Oxa di ieri, lasciatemi dire una cosa semplice: la legge del palco deve essere uguale per tutti. Capisco le ragioni di Anna: non si può tagliare una canzone che viene concepita su altre lunghezze. A me successe con "Mamma Rosa", che era perfetta in cinque minuti. Ma il Festival esige una parità di condizioni. Per esempio offrendo a tutti lo stesso tempo in scena: se poi la canzone finisce prima, si possono utilizzare i secondi residui ripetendo il refrain, o in qualche modo valorizzando l'artista. Ma se gara deve essere, nessuno può godere di vantaggi preventivi. Mai.