Panariello

Provo la sensazione fisica dei miei predecessori che mi spingono sul palco. Sono tutti lì, dietro le quinte: Mike, Pippo, Simona, Bonolis. Mi dicono: vai, ora tocca a te». L'incubo di Panariello è la moviola onirica dei primi minuti all'Ariston, «quelli - spiega - che segnano il Festival. Ho pensato a un inizio soft, senza monologhi. Poi si sbloccherà tutto. E riprenderò a sognare di domenica, quando andrò in vacanza». Andrà come Dio vorrà, sperando che nessun mitomane penzoli dalla balconata, o che gli anti-Tav non piantino le tende in platea. A volte gli imprevisti danno sale alla rassegna. «Non ce li andremo a cercare, non siamo masochisti. Per una settimana Sanremo diventa l'ombelico del mondo, salvaguardiamone il colore. Già abbiamo pagato dazio con le proteste dei cantanti esclusi, e con certi titoli dei Tg dove si parlava di "Festival della vergogna"». Allude al caso Minetti? «Quei giornalisti che hanno cavalcato certe voci senza avere prove pagheranno un caro prezzo. Ora basta, pensiamo alla musica, a creare un clima di distensione. Anche la par condicio ci spinge ad abbassare i toni». Ma se si presenta Berlusconi con Apicella? «Sale sul palco e canta. A patto che venga anche Prodi con Guccini». La accusano di essere un qualunquista. «Io mi schiero sempre con i più deboli. Ho anche chiesto a cantanti e pubblico di non indossare pellicce vere, sostengo la Lav. È qualunquismo?» Panariello, l'altra sera lei ha chiamato Beppe Grillo. Quello ha precisato che si è trattato di una telefonata di auguri, che di fare l'ospite non ci pensa affatto. Come stanno le cose? «È vero, ci siamo sentiti. Se Beppe accettasse di venire sarebbe un regalo fantastico». Allora la trattativa c'è. «Ho una stima immensa di Grillo, non è uno che parlerebbe per forza di politica. Ha così tante frecce al suo arco. Gli darei le chiavi dell'Ariston, e mi metterei in poltrona. Se poi passa anche lo straccio è perfetto. Ma è un invito personale, devo parlarne con la Rai. Certo, un suo ritorno in tv dopo tanti anni..."magara", dicono a Roma». Va a cercarsi i guai? Non le basta aver evitato la grana Schwarzenegger? «Le proteste delle associazioni contro la pena di morte ci hanno spinto a riflettere. Avevo pensato a lui perché ero curioso di sapere come vive questa stagione da politico, lui che è stato un grande attore, e che la morte l'aveva inflitta per finzione, sul grande schermo. Certo, da governatore della California può far azionare la sedia elettrica. E capisco che questo venga visto come un affronto». Però verrà Travolta. «E alla vigilia degli Oscar gli chiederò come cacchio funziona il cinema americano, e come ci si sente ad essere una stella con sangue italiano ad Hollywood». Invece come sono gli Usa visti da Panariello? «Un Paese dove ogni cosa è sovradimensionata. Andai a New York in tour con Gigi D'Alessio. Vidi questi contenitori di brodo a strappo, e capii che eravamo a...Brodway, eheh. In un negozio c'erano dei televisori smisurati, che ti veniva da chiedere se i telecomandi fossero grandi come windsurf. Trovavi limousine talmente lunghe che la targa davanti era del New Jersey e quella dietro del Massachussets. È una nazione di controsensi. Ti mettono in mutande all'aeroporto e poi ti lasciano fare cose assurde. Grazie a degli amici italiani riuscimmo a salire in cima all'Empire State Building in cinque minuti, scavalcando una fila di diecimila persone ed evitando tutti i controlli dei metal detector. Mentre una sera, a teatro, durante un concerto di Gigi, rischiai la vita». Racconti. «Platea strapiena, italoamericani in delirio. Era dopo l'11 settembre, e a Manhattan si vivevano giorni di tensione. Io avevo questo personaggio del macellaio Pio Bove. A un certo punto entro a sorpresa, con la parannanza insanguinata, urlando e colpendo gli spettatori sulle teste con un pollo finto. Quelli della security in un attimo erano lì, con le pistole spianate contro di me». Oggi con l'aviaria andrebbe anche peggio. «Non potrei. E poi c'è in gara quella canzone di Povia, "Vorrei avere i