Il libertino di Strawinsky conquista S. Cecilia
In uno spazio scenico non tradizionale convincono la regia di Lorenzo Mariani e la direzione di Gatti
Non era certo facile pretendere di raccontare «The Rake's Progress» («La carriera di un libertino») di Igor Strawinsky, presentata per la Biennale Musica di Venezia nel 1951 alla Fenice e ultimo atto della multisecolare storia dell'opera lirica, in uno spazio scenico non tradizionale. Ma la scommessa dell'Accademia di Santa Cecilia (repliche stasera e mercoledi in Sala Santa Cecilia all'Auditorium) si è rivelata vincente per diverse ragioni. Innanzitutto la regia intelligente, e mai fortunatamente sovraccaricante, di Lorenzo Mariani, che esplicita l'azione con trovate pregevoli. Poi la semi-scenografia di Maurizio Balò che veste i protagonisti di colori vistosi ma non eccentrici e ricopre tutti gli oggetti presenti in scena, compreso il podio del direttore e le sedie dei professori d'orchestra, con carta di giornale inglese. Del resto il libretto di Kallmann e Auden si ispirava alle tele settecentesche di Hogarth che si richiamavano a loro volta ad un reale fatto di cronaca. Ma una scelta felice non era solo quella di rappresentare sul palco dinanzi ed intorno all'orchestra l'azione del libertino, corrotto dal diavolo in persona, sino al suo epilogo in un manicomio, ma anche nella azzeccata selezione dei cantanti. Ellie Dehm era una appassionata Anne, Rainer Trost il vocalmente nitido (ma mentalmente confuso) libertino Tom, il perentorio James Morris l'ambiguo e sinistro, mefistofelico Nick Shadow color rosso fiamma. Eccellente la direzione di Daniele Gatti, per lo più asciutta ed oggettiva, ma anche partecipe nelle scene salienti dell'addio del primo atto e del momentaneo ricongiungimento dei due innamorati nella scena del manicomio prima della morte di Tom. Davvero soprendente per duttilità anche il coro, che si è disinvoltamente mosso in scena in costume e carnascialesche parrucche colorate, impersonando ora il variegato mondo del bordello, ora quello della piazza o del manicomio. Un plauso anche all'orchestra chiamata ad un impegno non usuale. C'era poi padrona del campo la musica di quel geniale "istrione" della musica del Novecento che risponde al nome di Strawinsky, che qui rifa il verso a Don Giovanni e Orfeo, a Carmen e Dama di picche (la scena delle tre carte) ma anche naturalmente a Faust per il funesto patto col diavolo. Con tanto di morale e concertato finale: attenti alla noia che desta dal sonno il diavolo. E di diavoli Strawinsky (vedi la «Histoire du soldat») davvero se ne intendeva.