Benigni chiude la Berlinale a passo di danza
«LA TIGRE E LA NEVE»
Messe da parte le delusioni di una cinematografia italiana, che all'estero sembra destare interesse solo se animata dai racconti sul nostro presidente del Consiglio, l'Orso ques'anno non ha graffiato e scalzato solo l'Italia e il suo unico film in concorso, ma anche i grandi maestri del cinema. Ignorati, come Placido, Claude Chabrol, Bob Altman e Sidney Lumet, che pure sono stati subito amati dalla critica internazionale. Ma l'Orso, imperterrito, ha sventolato la bandiera del cinema tedesco e soprattutto quella del cinema politico, che denuncia i dolori e le ingiustizie del mondo contemporaneo, rivisitato dal tocco femminile della presidente Charlotte Rampling. Due dei premi più importanti (l'Orso d'oro per il miglior film alla Zbanic e il Gran Premio della Giuria alla Christensen) sono infatti andati a film diretti da autrici, altri a pellicole che toccano questioni legate alla dignità della donna. Senza trascurare l'orrore di Guantanamo, raccontato da Michael Winterbottom e Mat Whitecross. Come da cronaca annunciata, c'era il desiderio da parte del direttore della Berlinale, Kosslick, di non fare solo spettacolo. E, guarda caso, poche ore prima del verdetto, il cancelliere Angela Merkel aveva rinnovato l'invito agli Usa di chiudere le prigioni di Guantanamo. C'è stato però anche grande spazio per il cinema tedesco, che ha fatto man bassa di premi: ben tre Orsi d'argento per la recitazione (Moritz Bleibtreu, Sandra Hüller e Jürgen Vogel). Oltre al premiato impegno produttivo dei tedeschi, che sono coinvolti sia in "Grbavica" (distribuito in Italia dal Luce) sia in "El Custodio", realizzato con il World Cinema Fund. La regista vincitrice ha lanciato il suo appello affinchè i criminali di guerra Karadzic e Mladic, rimasti finora impuniti, vengano finalmente perseguiti. E soprattutto affinchè le «donne che hanno subito stupri etnici, ora dimenticate dalla società e costrette a vivere con una pensione di 15 euro al mese, distrutte fisicamente e psicologicamente e spesso incapaci di lavorare, non siano dimenticate». La Zbanic deve in ogni caso la vittoria e l'esordio del suo lungometraggio alla solidarietà femminile che, almeno nei Paesi nordici, funziona. Grazie infatti all'amicizia con la cineasta austriaca Barbara Albert, la regista ha trovato la coproduzione austriaca e i capitali tedeschi che le hanno consentito di realizzare la pellicola. L'Orso è quindi, sì, della Bosnia, ma la Bosnia è un protettorato tedesco-americano, che non ha ancora una sua cinematografia. Tra i premi collaterali vinti dall'Italia, oltre a "La guerra dei fiori rossi" (coproduzione italo-cinese) e a "Bye bye Berlusconi" (coproduzione italo-tedesca), da segnalare anche il Wolfgang Staudte Prize assegnato al documentario italo-svizzero "Babooska" di Tizza Covi e Rainer Frimmel.