Gli sberleffi infiniti di Luciano
Era già da allora un film "vacanziero" con vari comici, il mare, il sole, canzoni orecchiabili e belle donne. In questo film Castellano ed io avevamo scritto per Luciano il personaggio di uno psicanalista che lui interpretava con verve e umorismo. Uno psicanalista che incontrava Ugo a tormentone, e vedendolo ogni volta vestito in un modo diverso, cercava di guarirlo da questa sua anormalità. Eravamo stati convocati lì dal regista Mattoli (il mitico "avvocato" del cinema) per trovare sul luogo, da bravi sceneggiatori, battute comiche e gags fulminanti. Tra una ripresa e l'altra, abbiamo simpatizzato e fatto amicizia con Luciano. Veniva dal Brasile dove aveva diretto un film, «El pisisito» pellicola satirica sulla crisi degli alloggi. Ci conquistò con il suo umorismo sardonico e il suo spirito caustico. Gli facemmo leggere il trattamento de «Il federale» chiedendogli di dirigerlo. Lui si entusiasmò per quella storia e la sera ci incontravamo per migliorarla. Coinvolgemmo nel progetto Ugo il quale, già da «Tipi da spiaggia» in cui Raimondo non c'era, cercava un film da protagonista assoluto. «Il federale» ebbe un grande successo e da lì è iniziata una lunga collaborazione con Luciano: «La voglia matta», «Le ore dell'amore» e tanti altri film. Quando Falqui e Sacerdote ci chiamarono per scrivere «Studio Uno» in tivù, chiedemmo a Luciano, che non era ancora noto visivamente, di fare in quello spettacolo (con Panelli, le Kessler e Mina) un signore qualsiasi seduto in platea a leggere il giornale. Arrivava da lui il conduttore, Lelio Luttazzi, che gli chiedeva cosa stesse leggendo. E da lì partivano una serie di battute di attualità che affrontavano gli argomenti del giorno. Battute che, essendo allora la televisione un monopolio, erano poco apprezzate da "quelli del settimo piano" che spesso e volentieri le censuravano. Luciano non sapeva darsi pace e, specie se una battuta era più divertente delle altre, faceva del tutto per difenderla e diceva infuriato: «Ma chi sono questi del settimo piano? Possibile che non ci si può parlare?». Solo una volta, per interposta persona, Luciano è riuscito a difendere una battuta censurata. Premettendo che allora le varie nazioni davano l'Oscar finanziario alle monete che si comportavano meglio, Salce diceva a Luttazzi: «Lo sai che la lira ha vinto l'Oscar?». Lelio gli chiedeva: «E perché l'ha vinto?». E Luciano rispondeva: «Per la migliore interpretazione drammatica dell'anno». I tempi sono cambiati? Giudicate voi: «La voglia matta» prese il vietato ai diciotto anni per il fatto che i ragazzi del film passavano un weekend in comune in un capanno sul mare. Oggi, nei film polizieschi o di azione americani, vediamo carneficine e crudeltà ingiustificate e non vietate. Anche in altri film come in "Romanzo criminale" (che mi è piaciuto molto ma io non sono un ragazzino influenzabile) vediamo, giustificata dalla cronaca, l'esaltazione della violenza e l'elogio dei soldi facili acquisiti attraverso la delinquenza. Tornando al passato, potrei raccontare molti episodi di censura, spesso rivelatori di grande stupidità. Nel nostro film «I baccanali di Tiberio» che si svolge nell'antica Roma, c'è una scena in cui Walter Chiari passa un esame disastroso che si conclude con questa frase: «Sei troppo stupido per fare il soldato, farai l'ufficiale» che è stata censurata e tagliata per «vilipendio dell'esercito» (di Tiberio!). Tornando alla tivù, in una nostra scenetta «Pappagone» riceveva dei giornalisti per una conferenza stampa. Ognuno di loro entrava e si presentava dicendo: «Messaggero!», «Tempo!», «Corriere della Sera!» finché alla fine arrivava un nanetto che diceva: «Corriere dei Piccoli!». Battuta goliardica ma innocente. Ce la censurarono. «Ma perché?» chiedemmo noi. «Avanti, non fate i furbi» ci risposero: «Voi alludevate a Fanfani!». Luciano, ti ricordo ancora quando, incontrandoti a via Veneto, ti dicemmo: