«Romanzo criminale», amore a prima vista
Placido: i miei malviventi sono simpatici perché manovrati dall'alto. Come i marines in guerra
Sia alla proiezione riservata ai giornalisti, sia alla successiva conferenza stampa - stracolma perlopiù di italiani e francesi - l'unica pellicola che rappresenta l'Italia in corsa per l'Orso d'oro, ha ottenuto un generale consenso da parte della critica specializzata. Ieri sera, «Romanzo Criminale» ha conquistato anche il giudizio benevolo del pubblico al Berlinale Palast, alla presenza di Kim Rossi Stuart, Stefano Accorsi, Anna Mouglalis, Pierfrancesco Favino, dello scrittore Giancarlo De Cataldo e di Placido, il quale ha spiegato che «se nel film c'è un'apparente empatia con dei criminali è perché questi erano in fondo manovrati da poteri più alti, proprio come succede oggi ai marines e agli iracheni in guerra». Grande interesse ha suscitato pure il quarto film tedesco presentato ieri in competizione e intitolato «Longing» di Valeska Grisebach, singolare storia d'amore dai toni melodrammatici, realizzata in maniera tanto realistica da sfiorare il genere documentaristico. Mentre uno straordinario Heath Ledger ha invece interpretato, accanto alla deliziosa Abbie Comish, il film australiano in concorso, «Candy» di Neil Armfield. Il regista narra la storia d'amore autolesionista tra un poeta e una giovane promettente pittrice, entrambi uniti dal vizio dell'eroina. Oltre a Ledger, è giunta ieri a Berlino un'altra star hollywoodiana, Vin Diesel, che presenterà oggi il film americano in concorso, «Find me guilty» dell'ultraottantenne Sidney Lumet, dal 24 marzo nelle sale italiane, distribuito da Medusa. La storia è tratta da un fatto vero: il più lungo processo penale della storia americana, durato 21 mesi, tra il 1987 e il 1988. Dopo anni d'indagini federali e con venti avvocati difensori, venti componenti della famiglia Lucchese compaiono in tribunale per rispondere a 76 capi d'accusa. Il governo degli States è pronto ad inchiodare uno dei più pericolosi clan mafiosi italo-americani, quando uno degli accusati decide di difendersi da solo: si tratta di Giacomo detto «Jackie Dee» Di Norscio (Vin Diesel). Di fronte a una condanna di trent'anni di reclusione, a Jackie viene offerta la chance di abbreviare la detenzione a patto che testimoni però contro molti suoi amici. La giuria, alla fine, emetterà uno dei verdetti più scioccanti della storia giudiziaria americana. Per Lumet, che vive oggi a New York, «i mafiosi italo-americani hanno perso molto potere negli ultimi dieci anni, a causa dei pentiti che hanno testimoniato contro di loro. Giunti ormai alla quarta generazione, i mafiosi italiani hanno dimenticato il loro codice leggendario, sospeso tra fedeltà e onore. L'ultimo a finire in galera è stato John Gotti, denunciato dal suo più stretto collaboratore, Toro Gravano». Ma se per Lumet, Di Norscio, che ha conosciuto personalmente per il film, «era stupido e noioso», per Vin Diesel era invece un personaggio molto interessante: «Ho avuto modo di parlargli e di guardarlo negli occhi prima che morisse, tre mesi dopo l'inizio delle riprese. Per un ragazzo duro del Bronx, come me, conoscere un uomo che conserva il senso dell'onore e della lealtà è stato un privilegio». Il direttore della Mostra del Cinema di Venezia, Marco Muller, ha infine presentato ieri un curioso film cinese da lui prodotto, con Rai Cinema e Istituto Luce: «La guerra dei fiori rossi» di Zhang Yuan, passato ieri nella sezione Panorama della Berlinale e tratto dal romanzo «Could be beautiful» dello scrittore cinese dissidente Wang Shuo. Il film, da aprile in Italia, è una metafora della cattiva educazione nella Cina contemporanea e del vano e autentico sforzo del piccolo protagonista di resistere alla sua forza omologante. È per questo che Qiang, un bambino ribelle di 4 anni, nell'asilo che frequenta non si lava, non si veste, si fa la pipì addosso, molesta le bambine, risponde male alle maestre e con alcuni suoi compagni inizia persino una