L'altra faccia del terrorismo
Al Festival di Berlino il dopo 11 settembre visto dalla parte degli islamici
A parte il film thailandese «Invisibile waves» di Pen-ek Ratanaruang, brutale thriller dall'atmosfera particolarmente densa, e oltre alla pellicola iraniana «Zemestan» di Rafi Pitts, incentrata sulla povertà e sulla disoccupazione in Iran, la giornata di ieri è stata dedicata ai temi politici. A cominciare da «The road to Guantanamo» dell'inglese Michael Winterbottom - in concorso come gli altri due film menzionati - che racconta la storia vera di quattro ragazzi, partiti nel settembre del 2001 dall'Inghilterra per il Pakistan, dove Asif, uno dei quattro, si va a sposare. I suoi tre amici, Ruhel, Shafiq e Monir, lo raggiungono per festeggiare le nozze. Ma, quando arrivano a Karaci, un imam li esorta ad andare in Afghanistan per aiutare la popolazione bombardata dagli Americani che rivendicavano l'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre. Così, inizia la terribile odissea di questi giovani islamici inglesi, che saranno torturati, rapiti ed infine imprigionati nella base americana di Guantanamo, a Cuba, perché accusati di terrorismo, di collusione con i talebani e con Al-Qaida. Finalmente, due anni e mezzo più tardi, il governo americano riconosce l'errore compiuto, i giovani vengono rilasciati, ma solo tre di loro tornano nel villaggio inglese di Tripton: di Monir non si è più saputo nulla. «Non so come reagirà il governo Usa, dove il film uscirà a novembre prossimo - ha detto ieri il regista affiancato dai due attori e veri protagonisti della storia, Shafiq Rasul e Ruhel Ahmed - Né so quali saranno le reazioni degli Inglesi, già scossi dalla notizia che Al Qaida potrebbe essere solo un'invenzione giornalistica, quando vedranno il film, in uscita a marzo in Gran Bretagna. Ciò che mi interessava era raccontare una storia vera di oggi, senza accusare l'America che noi amiamo e con la quale siamo cresciuti grazie al mito di Hollywood», ha concluso il regista che con il suo istant-movie, sembra voler tornare ai film politici tanto amati dall'Europa degli Anni Settanta. Intanto, dal festival di Berlino arriva anche l'annuncio del prossimo lavoro di Bernardo Bertolucci, che girerà «Bel Canto», un altro film sui temi del terrorismo, ambientato in un immaginario Paese sudamericano e basato sull'omonimo romanzo di Ann Patchett. Il libro narra di un gruppo di guerriglieri del Sud America. I terroristi entrano nella villa di un politico, durante un party, e prendono tutti in ostaggio. Grande attesa oggi per il verdetto del pubblico e della stampa straniera, dopo la presentazione ufficiale - che avverrà stasera - dell'unico film italiano in concorso, «Romanzo criminale» di Michele Placido, giunto ieri a Berlino con Pier Francesco Favino, Claudio Santamaria e Kim Rossi Stuart. Per Placido, «il mercato berlinese sarà una bella prova per lanciare il film sui mercati esteri. Ora, però, penso pure al mio lavoro di produttore e di sceneggiatore nel film "Lieve", dell'esordiente Toni Trupia: è un omaggio alla pellicola "Umberto D" di De Sica e sarà, girato a Tor Bella Monaca, dove dirigo il teatro e dove si svolgerà anche una sezione del prossimo festival di Roma», ha detto Placido, apparso tutto rasato e depilato, per il ruolo di genio del male che Tornatore gli ha affidato nel film «La sconosciuta». Placido non ha nascosto di tenere molto a questo «Romanzo criminale» che, ha spiegato, è stato ben accolto in Italia, con qualche riserva al Nord. «Il film è recitato, ovviamente, in romanesco - ha detto Placido - e questo ha creato qualche problema nel Settentrione, dove, evidentemente, la cosa non è piaciuta. Per fortuna - ha aggiunto - il romanesco dei malavitosi protagonisti non ha creato problemi con il mercato francese e non dovrebbe crearne con quello tedesco dove si è guardato alle immagini e alla storia». Ora il regista spera che il suo film sia ben accolto, oltre che in Germania, anche in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Accanto al regista, c'era il bellissimo Kim Rossi Stuart, in grande forma, a parte l'uso salt