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Da Grease a Tristano e Isotta

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Forse perché essere il prescelto di una grande major è un po' come sentirsi l'ultimo eroe romantico di un musical. È Gavin Degraw la nuova rivelazione del pop internazionale secondo il fiuto del suo scopritore, il noto produttore Clive Davis. Schizzato fuori all'orizzonte come dentifricio schiacciato da un tubetto, il ventinovenne newyorkese tenta il lancio in Europa a due anni dal suo debutto discografico negli Stati Uniti, e un suo brano, «We belong together» fa già parte della colonna sonora del film «Tristano e Isotta» di Kevin Reynolds in uscita ad aprile. Appassionato dei grandi del passato, Degraw non sa che nel 1961, con lo stesso titolo del suo cd, «Chariot», Petula Clark e Betty Curtis erano all'apice della popolarità. Un semplice incoraggiamento per il talentuoso cantautore che alla devozione per Bob Dylan unisce il fervore soul per Sam Cooke, scegliendo di incidere la sua «Change is gonna come». Per la prima volta a Roma nei giorni scorsi, Degraw, confuso tra la folla, assiste al concerto degli Oasis. Il giorno dopo, prima degli appuntamenti fissati per le interviste, sveglia all'alba i suoi collaboratori per farsi accompagnare a San Pietro. Per tutti gli artisti, prima o poi, arrivano le vacanze romane. Le sue come sono andate? «Ho visto il Colosseo di notte e San Pietro la mattina seguente, perché volevo vedere la Basilica al suo interno. È incredibile quanto questi monumenti riescano a rendere la fisicità della storia. Avrei voglia di tornare a casa solo per costruire un Colosseo tutto per me con i pezzi del Lego». Mentre era a Roma si sono svolti i Grammy Awards. Lei a chi avrebbe assegnato il premio per il miglior brano dell'anno, dovendo scegliere tra Mariah Carey, Gorillaz, Green Day, Gwen Stefani e Kanye West? «Ai Green Day. Una vittoria meritata la loro, se non altro perché sono gli unici di quella cinquina che suonano qualche strumento». Come nasce la sua passione per la musica? «Sono cresciuto in una famiglia di musicisti. Ho cominciato a suonare il piano a otto anni e mi esibivo nei bar e nei ristoranti con mio fratello e, talvolta, anche con mio padre, valido cantante e chitarrista. La scaletta della serata era a base di classici del rock, come i Beatles, i Doors, Tom Petty, Van Morrison, ma anche i brani di "Grease" che sono forse la prima cosa in assoluto che ho cantato dal vivo». Com'è nata la cover di «Change is gonna come»? «Sam Cooke è stato uno dei massimi interpreti del suo tempo. Nella mia versione ho cercato di creare l'atmosfera di un incontro immaginario tra Neil Young e Norah Jones in uno studio di registrazione del 1967». La definiscono un incrocio tra Billy Joel e Elton John? È d'accordo? «Sono entrambi due punti di riferimento importanti. Joel, soprattutto, è un grandissimo autore di musica e testi. Ma io sono un tantino più rock e "rootsy" di loro. Mi considero un ragazzo che suona il piano e che ha una passione smodata per la chitarra.». E come mai un giovane come lei non si è dato allo swing? «Amo quel repertorio e Bublè e Cullum sono adorabili. Ma sono dei "performer" e amano apparire come "entertainer", che è una cosa ben diversa dal sentirsi semplicemente un cantante. Cantare, per me, è un'emozione tutta interiore».

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