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L'inossidabile Bradbury fa sempre paura

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Eccolo ora di nuovo in libreria, inossidabile, con questa serie di racconti, Tangerine (Oscar Mondadori, 8,40 euro), venticinque di numero, e tutti coinvolgenti, fra spericolati viaggi nel tempo, fantasmi, telefoni che squillano nel pieno della notte producendo allucinazioni e vertigini, ma con quell'ingrediente dell'allegria e dell'ironia, che da sempre accompagna le avventure fantascientifiche di questo mago del raccontare, sul fronte del piombo dal remoto 1948. Atterraggio tutt'altro che morbido, dopo i decollaggi di Bradbury, con questo italico thriller, «Lentamente prima di morire» (Piemme, 16,50 euro) di Patrick Fogli, ex tennista, tifoso milanista, innamorato di Springsteen e degli U2, di Sampras della Stefi Graf. Si aggirano fra le pagine, molto «noir», un commissario di polizia, un impietoso mafioso, una ragazza all'improvviso in coma e un personaggio indecifrabile che sta inseguendo una tremenda vendetta. Agitare prima dell'uso, ed ecco servita una storia da capogiro, sulla quale l'autore imperversa, divertendosi a lasciare, ogni volta che accade qualcosa, una traccia di morte traumatica e dolorosa. Umberto Eco pubblica in questi giorni una raccolta di articoli e interventi scritti in questi ultimi cinque anni, di rilevante interesse perché appartengono ai primi vagiti e al faticoso crescere al nuovo millennio. Naturalmente «A passo di gambero» (Bompiani, 17,50 euro) parte dall'11 settembre, tragico antefatto delle due guerre in Afghanistan e in Iraq, ma poi spazia su tutto e su tutti con la consueta arguzia, con particolare riguardo per la piaga più dolorosa del nostro tempo, le guerre di religione, ma poi va anche a curiosare sull'atlante geografico, e si ritrova davanti agli occhi un mondo capovolto. Ma è proprio vero che il dialetto napoletano, è più generalmente campano, è qualcosa di unico e di irripetibile, una vera e propria seconda lingua del nostro idioma? Si cimenta sull'arduo tema Nicola De Blasi in questo «Profilo linguistico della Campania» (Laterza, 18,50 euro), il quale si apre con un profilo storico del fenomeno, per poi svariare sulle caratteristiche più tipiche dell'incedere dialettale, e ancora le contaminazioni, le influenze, e infine una spassosa, e scientificamente ineccepibile antologia di testi del Trecento a oggi, sulla quale è lecito divertirsi, ma anche riflettere sull'arguzia del dialetto, per nulla al mondo da contrapporre alla lingua. Sarà bello «viaggiare» nel fantastico e nell'irreale, come ci invita a fare una larga messe di scrittori di tutto il mondo, ma sedersi a tavola e servirsi pranzi succulenti organizzati e scritti dai più grandi romanzieri Del pianeta è un'altra cosa, bisogna convenirne. Maria Grazia Accorsi è andata pazientemente a scavare fra «Personaggi letterari a tavola e in cucina» (Sellerio 16 euro), e ha trovato, fra mille profili e prodigi culinari, le aringhe di padron «'Ntoni» di verghiana memoria e la zuppa di Capitan Fracassa di quel mattacchione di Théophile Gautier. Il più buon gustaio di tutti? Il caro, indimenticabile Peppo Pontiggia, con quel faccione che si trasformava ad oggi leccorniosa portata. Sembra facile, e i poeti non abituati si sbattono il muso. L'arte giapponese di scrivere Haiku è ardua e raffinata, e ci vuole la forza creativa di un Jack Kerouac, che «on the road» ne componeva a centinaia per lottare contro la propria drammatica esistenza. Ecco ora riuniti, in un volume curatissimo da Irene Starace, «Il grande libro degli haiku» (Castelvecchi, 40 euro), dove si cimentano creativi di alto livello come Pound, Eliot, Zanzotto, studiosi come Roland Barthes, sulle orme del fondatore Matsuo Basho, che pubblicò la sua prima silloge nel 1662. Ma che cos'è l'haiku? una folgorazione di tre versi dedicato all'incanto della natura, ma con il sostegno di una riflessione profonda e radicata.

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