Zero in politica
Parte dal Bresciano il tour già quasi tutto esaurito. Tra un brano e l'altro: «Andate a votare»
Venerdì sera erano più di cinquemila a gremire il PalaGeorge di Montichiari per il debutto dello «Zero Movimento Tour 2006», che ha già fatto registrare il tutto esaurito in 15 delle 25 date previste, comprese quelle romane del 27 e 28 febbraio e 2 e 3 marzo. Un minuto prima delle 9, dal pubblico è partito il tradizionale conto alla rovescia: tre, due, uno... Zero! Renato è apparso sul palco allestito come un grande giradischi, con tanto di puntina e disco rotante, avvolto da un cappotto bianco con i revers scintillanti di strass e sulle note di «Il jolly» e «Guai» (vecchi brani dei primi anni '80) ha dato il via a un concerto di oltre due ore e mezzo fra luci eleganti e suoni raffinati, nel quale ha ripescato dall'oblio canzoni come «Fermo posta», «Motel» e «Un uomo da bruciare»; ha reso omaggio al nuovo album «Il dono» (dai singoli «Mentre aspetto che ritorni» e «Immi Ruah» fino a «La vita è un dono» diventato già un classico); ha guardato al futuro suo e dei suoi sorcini esortandoli a migliorare una realtà che non li soddisfa già dalle prossime elezioni del 9 aprile. «Perché ci lasciamo calpestare da quattro deficienti analfabeti che ci governano? - ha detto alla folla fra i brani «A braccia aperte» e «L'esempio» - I nostri politici sono assenti stanno in Parlamento a giocare a carte... ma con le nostre esistenze». Una dichiarazione pesante che il cinquantenne artista romano ha ribadito a fine concerto: «Politicamente io sono ampiamente deluso su tutti i fronti: purtroppo non esistono più politici intelligenti e al servizio della gente comune come Einaudi e Gramsci, ma soltanto un pollaio consunto che non ci permette di sentirci al sicuro. Comunque il 9 aprile andrò lo stesso a votare: chi si astiene dovrebbe sputarsi in faccia quando si guarda allo specchio». Chiusa la parentesi politica, Renato Zero è tornato a essere il grande istrione capace di ipnotizzare la platea con uno spettacolo ricco di sorprese, a partire dal grande palco a cerchi concentrici con pedana girevole, sormontato da pannelli luminosi che hanno avvolto la band nelle prime quattro canzoni e che poi su una sorta di «Voyeur» si sono alzati, incastonandosi in una scenografia composta da 42 tubi luminosi, rivelando una band con i fiocchi a cui Renato ha concesso uno spazio importante alla fine di ogni canzone. Rivolgendosi ancora ai suoi sorcini il cantante ha ordinato a se stesso: «Renatino non ti azzardare mai a fare di questo amore un'abitudine». Era il suo modo per chiedere l'approvazione del pubblico a una scaletta piuttosto ardita, che sorprendentemente ha dimenticato tutte le sue hit più famose, perfino quelle finora considerate irrinunciabili come «Il cielo» e «I migliori anni della nostra vita». «Immagino che certe canzoni che ho trascurato ce l'abbiano a morte con "I migliori anni della nostra vita" - ha spiegato scherzando - così ho deciso di prendermi cura come autore dei figli che ho seguito meno in questi anni. Inoltre sono abituato ad allestire spettacoli mai uguali fra loro». E i sorcini bresciani, seppure un tantino spiazzati, hanno dimostrato di gradire la scelta, cantando all'unisono con lui dalla prima all'ultima canzone. Spettacolo nello spettacolo, come sempre, la scelta dei costumi: Renato ne ha sfoggiati una quindicina uno più fantasioso dell'altro per sottolineare il senso delle canzoni, fra cui un completo da falconiere con finto falcone sulla mano («Immi Ruah»), una giacca mimetica con lingerie sexy nelle tasche interne («Fermo posta»), una cotta medievale («Uomo no»), fino al trench bianco in vinile che ha esibito nell'ultimo bis «La vita è un dono».