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Aberrazioni della cultura inglese

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«The Libertine»: Depp spettrale in una vita dissipata e senza freni

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Il «libertino» del titolo è Jonh Wilmot, secondo conte dI Rochester, nato nel 1647 e dopo una vita e un'attività letteraria fonte di molti scandali, morto a 33 anni. Ci si presenta in un prologo, subito dopo i titoli, in cui, con gli occhi cerchiati e il viso spettrale di Johnny Depp, sulle orme di un testo teatrale dell'inglese Stephen Jeffreys, anche sceneggiatore del film, ci dice, guardando in platea: «Non vi piacerò. Gli uomini saranno invidiosi e le donne proveranno ribrezzo. Non vi piacerò ma soprattutto non voglio piacervi...» È il «la», cui si adeguerà il resto il personaggio, le sue gesta ribalde, l'epoca della Restaurazione, sotto Carlo II, che le accolse spesso, però, respingendole. Una moglie, sposata per amore dopo averla rapita ancora vergine e per questo finito alla Torre di Londra. Una amante, attrice in erba, che riuscirà a far diventare una stella del teatro inglese in quegli anni. L'amicizia del Re, spesso irrisa, anche con scherzi atroci: uno spettacolo pornografico che, invece, avrebbe dovuto servire per accoglier degnamente l'ambasciatore di Luigi XIV. E poi molte altre donne, molto vino e una tale serie di sregolatezze, soprattutto erotiche, da vedersi presto devastato dalla sifilide. In tempo, però, per una conversione sul letto di morte, altrettanto senza freni quanto la vita che l'aveva preceduta. L'esordiente Laurence Dunmore, noto finora per dei videomusicali, ha seguito quasi alla lettera il testo di Jeffrys, ingegnandosi a dare il più possibile rilievo a quel personaggio centrale sempre fuori da ogni norma (nelle azioni, nei gesti, nell'eloquio) e costruendogli attorno una cornice d'epoca il più possibile verosimile e suggestiva. In Johnny Depp il personaggio ha trovato l'interprete di cui aveva bisogno: folle, stralunato, luciferino, ma anche spesso ferito, intento a passare bruscamente dall'esaltazione ai crolli. Con la possibilità, nei dialoghi - letterari e scritti spesso in un inglese settecentesco - di vincere l'originario accento americano in favore di riflessioni non dissimili da quelle cui ricorreva Laurence Olivier per il teatro di Shakespeare. Circondato da attori quasi tutti inglesi legati alle stesse inflessioni, accettate perfino dall'americano Jonh Malkovic, un Carlo II molto verosimile (anche per un grosso naso posticcio). E così l'epoca: con immagini nebbiose e fumose a luci naturali (come nel «Barry Lindon» di Kubrick) e scenografie realistiche in mezzo a strade fangose. Forse non è un gran film, ma la cultura inglese vi ha spazi attenti. Anche nelle aberrazioni.

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