Foibe, ora c'è la giustizia negata
Anche se oggi, finalmente, c'è il ricordo pubblico del genocidio di italiani consumato ai confini orientali negli anni a cavallo fra la fine del secondo conflitto mondiale e i primi mesi di pace. Il cuore di tanti nostri connazionali scampati alle stragi dei partigiani e del soldati di Tito in Istria, Dalmazia, a Trieste e Gorizia soprattutto subito dopo la liberazione, è sempre lì, in fondo al pozzo. Costretti a fuggire dalle loro terre, alcuni portandosi appresso le bare con i resti dei loro cari strappate ai cimiteri. Ma altri morti sono rimasti su quella linea di demarcazione martoriata, uomini, donne, anziani e bambini sepolti per sempre negli abissi delle foibe; grappoli umani sprofondati nelle viscere della terra dopo essere stati legati l'uno all'altro con del filo spinato. Eccidi «rossi» a macchia di leopardo ma inseriti in un piano di pulizia etnica preparato a tavolino dal maresciallo Tito e messo spietatamente in atto non appena le prime truppe del IX Corpus titino dilagarono in Venezia Giulia verso Trieste. Il muro del silenzio, inattaccabile per mezzo secolo nonostante le iniziative dei parenti delle migliaia di infoibati, oggi non c'è più. L'Italia intera ricorda in questa giornata i lutti e gli orrori, l'esodo in massa da quelle terre italiane tornate nelle mani degli slavi in base al trattato di pace. A lungo andare la memoria è stata riconquistata, a fatica, testimonianza dopo testimonianza, racconto dopo racconto. Le nuove generazioni finalmente oggi sono in grado di conoscere anche una verità negata a lungo, ignorata per decenni perché quanto accaduto in quella parte d'Italia poneva sul banco degli accusati i partigiani slavi come quelli italiani direttamente o indirettamente legati alle truppe d'occupazione di Tito. La congiura del silenzio ormai è saltata. Riconosciuto il diritto alla memoria e al ricordo. Ma il diritto ad avere giustizia per tutti i processi che non ci sono stati? E il diritto dei figli e dei nipoti di conoscere finalmente la verità sulla catena di eccidi determinati da puro odio politico per tutto quello che in quel tempo voleva dire Italia e italiani? C'è il ricordo unanime di quei giorni di odio e di sangue anche se c'è ancora giustizia negata. Ma perché? Se lo chiede Annamaria Muiesan Gaspàri, triestina, figlia di martiri italiani, che in un libro uscito in questi giorni affronta i retroscena dei fatti accaduti nel nord dell'Istria (oggi Slovenia) di fronte ai quali gli storici hanno sinora preferito il silenzio. «Istria 1945, il lato oscuro della tragedia di Pirano» il volume edito dall'Unione degli istriani. Racconto-ricostruzione di una tragedia che colpì personalmente l'autrice e l'intera cittadina. Perché a Pirano furono fatti scomparire 44 cittadini inermi tra cui il padre di Annamaria Muiesan Gaspàri. «Le nostre 44 vittime chiedono attenzione» chiosa l'autrice che con il suo lavoro spera di mettere a nudo quale ruolo svolsero a guerra finita i comunisti italiani nella sparizione di tanti concittadini inermi, perché non cali l'oblio sui responsabili dei massacri e sui fiancheggiatori rimasti tutti impuniti. Dalla verità-negata alla giustizia-negata. Ma che senso ha parlare a distanza di tanto tempo di «responsabili» e di «fiancheggiatori» delle bande titine? L'unico interesse che rimane, infatti, è quello storico-politico. Perché succede in ogni guerra. Quando un conflitto inizia la prima vittima è la verità e a guerra finita le bugie degli sconfitti vengono smascherate, quelle dei vincitori divengono storia. Con la giornata del ricordo di oggi un pezzo di storia scritto dai vincitori ha perso i suoi puntelli portanti. Il genocidio di italiani avvenuto ai confini orientali oggi è riconosciuto da tutti, anche da chi per tanti anni non ha avuto occhi per vedere e orecchie per sentire quanto andavano chiedendo istriani e dalmati scampati alla pulizia etnica. Una macchina di morte che ha funzionato alla perfezione per lungo tempo. E in quelle terre alla fine di vincitori ve ne furono due: i comunisti i