di GIAN LUIGI RONDI TRANSAMERICA, di Duncan Tucker, con Felicity Huffman, Kevin Zegers, Fionnula Flanagan, Stati Uniti, 2005.
Però con una singolarità, da cui procede poi tutto il resto: che al padre, Stanley, già vestito da donna con il nome di Bree, manca solo un'ultima operazione per cambiare sesso e che il figlio diciassettenne, Toby, della cui esistenza ha saputo solo adesso, non sa nulla di nulla e anzi, pur con una vita sregolata (è appena uscito di prigione), aspira con molta ansia a incontrare un padre che, morta la madre suicida, non ha mai conosciuto. Toby, quasi durante tutto il viaggio, pieno di traversie, è convinto che la donna al suo fianco sia una missionaria laica venuta per redimerlo e continua a crederlo anche a Phoenix, nella casa dei genitori di lei dove, lui almeno, appresa la sua identità, viene accolto con affetto. Quasi contemporaneamente, però, scoprirà anche l'identità di quel padre che gli sta facendo da madre e fuggirà inorridito. Solo alla fine, ma con asciutto e quasi aspro riserbo, arriverà la pacificazione per entrambi. Ecco, il riserbo. È questa la nota dominante di un film che, esordendo al cinema, si è scritto e diretto Duncan Tucker sostenuto da una produzione indipendente. Nonostante il titolo, infatti, non ci si trova mai di fronte ad una storia che affronta e poi sviluppa il tema della transessualità perché, appunto, esplora soprattutto il rapporto difficile tra un figlio che cerca un padre e un padre che gli si deve nascondere perché sta cambiando sesso. Con l'accento su quel viaggio dei due insieme, uno ignaro e spesso legato ancora al suo passato turbolento, l'altro sempre più coinvolto da un affetto che lo spinge a mentire in più momenti perfino a se stesso. Con quell'incontro a Phoenix con una famiglia ancora pronta a dissentire, accompagnato da quella scoperta del ragazzo affidata solo, come del resto tutto il film, a cifre secche e senza concessioni sentimentali, pronte dopo, ad affacciarsi quasi simili nel finale. Con levità, con delicatezza, pur tenendosi comunque a verità crude e, in più momenti, anche ostiche. Concorre a rendere anche più evidenti questi meriti l'interpretazione, nella parte del transessuale, di una vera donna, l'attrice Felicity Huffman, che ha splendidamente fatto fronte all'arduo compito di interpretare un uomo che si sta trasformando in donna. Con una mimica, una gestualità, una voce (nella versione originale) meritevoli dei tanti premi che ha già raccolto. Cui altri probabilmente seguiranno.