di TIBERIA DE MATTEIS RACCONTARE storie è l'arte semplice di Ascanio Celestini che riempie i teatri ...
Il trentenne affabulatore, che sa trasformare cronache e memorie in narrazioni orali di sicura presa sul pubblico, presterà la sua voce alla scrittura altrui leggendo «Mignotta», tratto da «Alì dagli occhi azzurri», e «Il poeta delle ceneri» per ricordare l'autore friulano con l'accompagnamento di composizioni originali del maestro Piovani. Pluripremiato come interprete, ma anche come autore del libro «Storie di uno scemo di guerra» edito da Einaudi che ha conquistato il Bagutta opera prima e il Fiesole under 40, Celestini sta inoltre progettando un testo sulle fabbriche dal titolo «Live» da inserire negli eventi per il centenario della CGIL previsti al Piccolo Teatro di Milano nella futura stagione. Quale immagine di Pasolini emerge dai brani che ha scelto? «In "Mignotta" si incontra lo scrittore che tutti conosciamo e immaginiamo: mi interessa il tentativo pasoliniano di abbandonare l'italiano per una scelta espressiva viva come il dialetto che prescinde dal nazionalismo. "Il poeta delle ceneri" me l'ha portato Piovani in forma manoscritta con tanto di correzioni autografe. Era una presentazione di se stesso per un giornale americano, scritta fra il '66 e il '67. C'è l'invito a non leggere le sue dichiarazioni come poesie e il desiderio di essere considerato un poeta nella vita più che nella parola. Pasolini confessa che avrebbe voluto essere un musicista e su questo Piovani ha creato una composizione». Cosa ama di più nella produzione pasoliniana? «Mi ha sempre colpito, sia nei romanzi e sia nelle poesie, la sua idea di attraversare Roma a piedi, passando da un quartiere all'altro, da una borgata a un campo, tra palazzi, piazze, strade e oggetti urbanistici come poi avverrà anche nei suoi film come "Accattone", "Mamma Roma" e "Uccellacci, uccellini". Me lo raccontava sempre anche mio padre: allora si camminava per risparmiare i soldi del tram. Le automobili sono arrivate dopo». Come è avvenuto l'incontro con Piovani? «Ci siamo conosciuti due anni fa quando ho recitato "Radio clandestina" all'Ambra Jovinelli di Roma. Mi ha invitato a Corchiano per assegnarmi il Fescennino d'Oro. Mi piace la sua musica perché procede per immagini e perciò è adatta a queste poesie pasoliniane così parlate e vicine alla prosa. La sua sonorità non è mai un sottofondo né pretende di raccontare tutto, ma resta sospesa fra la narrazione e l'assenza, suscitando un'evocazione. Piovani ha un'immensa cultura popolare e possiede il coraggio di comporre per le persone che lo ascoltano e non per i fans o per i musicologi. È un atteggiamento che ci accomuna: per me il teatro è uno strumento per comunicare storie. Se non esistesse avrei avuto molti figli per poterle raccontare a loro». La lettura le si addice? «Mi è già capitato con brani di Dacia Maraini al Festival delle Letterature. Cerco di essere rispettoso delle parole e poco interprete. Del resto anche nei miei spettacoli parlo e non recito». Qual è il segreto del suo successo? «Saper raccontare il presente della memoria e non soltanto il passato della letteratura teatrale. Un teatro civile non solo per le tematiche, ma per l'opportunità di mettere le persone in contatto con la propria storia. Il mio scopo è associare l'evento vissuto con il bisogno di condividerlo, trasformando la percezione individuale in immaginario collettivo. È più costruttivo guardarci di fronte che alle spalle!»