Due registi croati: «Orson Welles amico di Tito»
Il film, diretto da due giovani registi croati, Daniel Rafaelic, Leon Rizmaul, fa luce su un periodo ancora piuttosto oscuro della sua vita, quando, a metà degli anni '40 e dopo lunghi soggiorni in Italia, Francia e Spagna, decise di dedicare la quarta parte della sua vita all'allora Jugoslavia, solidamente in mano comunista sotto il governo del maresciallo Tito. Uno "scheletro nell'armadio", forse - è stato osservato durante i tre giorni di convegno - su cui la critica statunitense ed europea ha preferito spesso glissare, ma che invece, dai documenti emersi e dalle parole della sua ultima moglie, la croata Oja Kodar, sembra costituire un capitolo importante del suo percorso umano ed artistico. Ad affascinare Welles fu, prima ancora della donna con cui passò i suoi ultimi 20 anni, attrice e regista attesa a Udine ma assente per motivi di salute, l'intensa attività cinematografica favorita da Tito. Cinema, certo, in gran parte di propaganda, ma che rivelava un'attenzione al mezzo d'espressione in sè e favoriva la sperimentazione. Welles girò vari film in Jugoslavia, tra i meno visti del suo repertorio, e il documentario mostra immagini rubate sul set, interviste di backstage, ma anche passeggiate col maresciallo. Tito gli appariva come un personaggio controverso ma a suo modo innovativo, opinione che - a dire di Oja Kodar, che ha inviato un messaggio al convegno - si attenuò in Welles solo dopo la strage di Bleiburg. Per il resto, «Citizen Welles», titolo dato all'ottava edizione della rassegna per sottolineare la "fusione" del regista coi suoi film, è servito a far capire quanto la ricerca sull'opera del maestro abbia ancora molti spazi vergini, soprattutto in Italia. C'è, ad esempio, un intero capitolo inesplorato dell'opera di Orson Welles, quello dell'uso di mezzi di comunicazione diversi dal cinema, una vastissima produzione radiofonica, televisiva, perfino pubblicitaria, su cui non è ancora stata fatta piena luce.