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«Un horror estremo ispirato dagli italiani»

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Campione di incassi negli States. Il regista: «Ammiro Argento e Fulci»

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Ecco, moltiplicate almeno per dieci l'orrore anche psicologico di quella sequenza (Hoffman ignora completamente a cosa si riferisce la domanda… e quindi non sa cosa rispondere) e avrete un'idea di ciò che si vede in «Hostel», il violentissimo e terrificante film diretto dal 33enne Eli Roth e prodotto da Quentin Tarantino. Il film, campione d'incassi negli Stati Uniti (Roth è già al lavoro su «Hostel 2»), uscirà da noi il 24 febbraio e racconta l'orribile vacanza europea di una coppia di studenti americani. Fermatisi in un «hostel», cioè in un ostello, della campagna slovacca attratti dalla disponibilità delle ragazze che vi alloggiano, i due finiranno vittime di un'organizzazione internazionale dedita alla realizzazione di crudelissime torture a pagamento per il piacere di ricchi clienti. Per i quali, tra l'altro, gli americani sono le prede più ambite. E, quindi, costose. «Sì, è vero, la scena madre del "Maratoneta" è stata di grande ispirazione per me - racconta Roth, che sembra il ragazzo acqua e sapone della porta accanto - ma il film di Schlesinger è stato fondamentale anche per la creazione della baby gang che alla fine fa giustizia degli assassini, un po' come succede con i vicini di casa cui Dustin Hoffman chiede aiuto». Ma il suo film è ricchissimo di citazioni... anche provenienti dal cinema italiano di genere. «È vero. Per me sono stati fondamentali i film coreani come ad esempio la trilogia sulla vendetta di Park Chan-wook (l'ultimo episodio, "Lady Vengeance" è ancora nelle nostre sale) almeno quanto i grandi film horror e thriller italiani degli anni settanta, i film adorati anche da Tarantino. Il mio film preferito "made in Italy" è "Cannibal Holocaust" di Ruggero Deodato, ma anche nomi come Umberto Lenzi, Sergio Martino, Dario Argento o Lucio Fulci, i vostri autori di genere, sono stati per me un punto di riferimento nel creare "Hostel"». Come nasce l'idea di un film come questo? «Dalla realtà. Con mio grande orrore, ho scoperto su Internet che in Thailandia è possibile contattare un'organizzazione che, per 10mila dollari, organizza un appuntamento tra chi vuole uccidere e chi, per miseria, accetta di essere ucciso pur di lasciare il proprio compenso alla famiglia. All'inizio, volevo farne un documentario, ma poi ho avuto paura. Gente come questa, ho pensato, non ci metterebbe un attimo ad uccidermi. Molto meglio trasferire lo spunto in una storia di fantasia. Quentin mi ha spronato e per me averlo al mio fianco è stato un aiuto preziosissimo». Ma lei crede veramente che gli omicidi su appuntamento succedano davvero, in Thailandia o altrove? «Sì. Come gli snuff-movie (cioè i film in cui si filmano omicidi e torture autentiche). I video delle uccisioni di Al Qaeda cos'altro sono se non degli snuff? La gente vera è molto più cattiva di quella che si vede nei film».

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