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MOORE

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Qualunque cosa vi dica, qualunque cosa vi inviti a fare, sfuggitegli! È una trappola». Non è un avvertimento della polizia e nemmeno il brano di un film giallo: questo avviso, tra il drammatico e il ridicolo (avete idea di quante persone al mondo girano con un cappellino da baseball?) circola da più di un anno nelle sedi delle maggiore case farmaceutiche degli Stati Uniti. Sono in allarme inoltre ospedali, ambulatori, agenzie di assicurazione. Ma chi c'è in giro? Un serial killer? No, è Michael Moore, il più temuto documentarista degli States che, con il suo ultimo lavoro, ha dichiarato guerra al sistema sanitario americano. Il film, che è quasi pronto e dovrebbe uscire nei prossimi mesi, si intitolerà «Sicko», che, più o meno, vuol dire «malaticcio». In questa pellicola Moore, secondo le indiscrezioni, dovrebbe raccontare la storia di dieci persone che sono morte a causa di fenomeni di malasanità. Il regista andrebbe inoltre ad analizzare i problemi nel settore delle malattie mentali. Moore con la sua macchina da presa ha già macinato a colpi di ironia la potentissima casta dei costruttori di automobili Usa con il suo primo film, «Roger & me», del 1989. Ha messo sotto tiro (è proprio il caso di dirlo) la lobby delle armi con «Bowling for Columbine», premio Oscar nell'anno di grazia 2002, poi ha preso di mira il presidente George W. Bush con «Fahrenheit 9/11» che, nel 2004, gli ha fruttato la Palma d'Oro al Festival di Cannes. Adesso il pancione guitto, ma che molti cominciano a trattare come un profeta, se la prende con il sistema sanitario. «Non capisco come possiamo essere uno dei Paesi più ricchi al mondo e permettere che 4 milioni dei nostri cittadini non vengano assistiti se si ammalano!» ha detto Moore. E i manager del settore sanitario tremano. Sì perché gli affaristi Usa non sono abituati alle critiche. Negli Stati Uniti, come nel resto del mondo, non si fanno molte indagini a livello economico e sociale. I politici, impegnati in campagne elettorali costosissime accettano finanziamenti dalle multinazionali. I politici eletti difendono i guadagni delle società che reinvestono in vari settori e comprano spazi pubblicitari su quotidiani e televisioni. A loro volta i media incassano e raramente fanno domande imbarazzanti. Il sistema funziona e produce utili. A quale pazzo verrebbe in mente di criticarlo? A Michael Moore. E i «big manager» sono molto preoccupati, anche se ad essere minacciata è solo l'immagine. Nelle sedi Usa di una delle maggiori multinazionali del farmaco sono state diffuse circolari molto dettagliate sui metodi usati da Moore, mettendo in guardia i dipendenti. Difendersi dalla sua inchiesta è diventata una specie di psicosi anche perché, sostengono alcuni, Moore, per non farsi riconoscere, sarebbe dimagrito di 40 chili lasciandosi crescere fluenti capelli biondi. Dal canto suo il regista ha fatto sapere di non dover usare mezzucci come i travestimenti. Afferma che, come è avvenuto per altri suoi documentari, i volontari disposti ad offrire informazioni e a cooperare sono moltissimi. Addirittura troppi. Tutto gratis, ha spiegato, pur di porre in evidenza le contraddizioni del sistema. Resta da domandarsi perché i big del settore sanitario Usa hanno paura di un pazzerellone con telecamera che si è appena sottoposto a una drastica cura dimagrante. In fondo quello che fanno è tutto perfettamente legale. Ma, evidentemente, il ridicolo fa male, e tanto, anche se si è nella legalità.

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