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La monaca buddista balla con Romiti

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Nella festa che ogni anno mischia in casa Nonino, nella campagna attorno a Udine, personaggi scovati in tutto il mondo, inintegrabili perché estranei all'omologazione, ubriachi di gioia incosciente loro che di solito non sono né gioiosi né incoscienti, Harumi Setouchi, monaca buddista, una dei premiati 2006, mostra ancora una volta d'essere controcorrente. Un guru che va ai talk show tv e un'asceta che prega in un bosco del Giappone settentrionale. Romanziera, racconta storie di geishe, ma ha anche tradotto in giapponese moderno un poema nipponico dell'anno Mille, un po' la nostra Divina Commedia. Una che non rinuncia al sakè («anche se la regola buddista vieta l'alcol», si scusa), che la mattina non si sveglia all'alba come le consorelle («perché scrivo fino a tarda notte»), che ha firmato trecento libri e molti best seller e che quando apre, una volta al mese, il tempio di Tendai Dera, vicino Kyoto, raduna fino a 15 mila persone, che arrivano da tutta la terra ora inquieta dei fiori di Loto. Ha molto visto e vissuto, Harumi. Ora si chiama Jakucho, «quella che ascolta la quiete», ha 83 anni, la testa rasata, la pelle stranamente liscia, il sorriso pronto. In convento c'è entrata a 51 anni, dopo una vita spericolata. Sposa a 20 anni, fedifraga al punto di abbandonare il tetto coniugale e la figlioletta. Poi la scrittura, la fama, i premi, altri amori. Nel '73 la scelta di farsi monaca. Via i lunghi capelli, basta sesso. «Alla scrittura invece non ho voluto rinunciare anche se ho temuto che me lo impedissero», racconta mentre rigira tra le mani un rosario di cristallo. «Sono 108 grani, come le passioni umane secondo Buddha. 108 per la mia religione è anche il simbolo dell'Infinito. Dunque, le passioni sono infinite. Sa, mi sono fatta monaca nel momento in cui è traboccata la passione. Io che ho trasgredito - e il rimpianto maggiore è quello di aver abbandonato mia figlia - ho voluto così dominare la passione». Resta però, passione, la parola che preferisce. Le eroine dei suoi romanzi le assomigliano. La geisha de "La virtù femminile" (uno dei due libri pubblicati in Italia da Neri Pozza, che presto tradurrà "La fine dell'estate") è realmente esistita e ha vissuto come Harumi-Jakucho: tanti amori, attrice a Hollywood, poi l'ordinazione con il nome di "Monaca illuminata dalla saggezza". «È che attraverso le mie protagoniste parlo della sottomissione della donna in Giappone. Qui ancora molti matrimoni sono combinati. Qui le donne studiano, sono ottime professioniste, più degli uomini. Ma nessuna fa il salto, nessuna per esempio è diventata primo ministro. E mai lo diventerà. Manca loro la capacità di essere lungimiranti. Questa sottomissione strisciante le avvolge nella solitudine». Un po' quello che è avvenuto a Masako, la principessa triste. «È stato l'ambiente della corte a portarla alla depressione - dice con coraggio inusuale, perché in Giappone la famiglia imperiale resta un tabù - Non guarirà perché nulla cambierà intorno a lei. Dovrà adattarsi. O morire. Eppure ha studiato politica, sarebbe un ottimo ministro degli esteri. Davvero la guerra non esisterebbe se il mondo fosse governato dalle donne». Ma per la pace che fa, Harumi? «Ho digiunato dopo l'11 settembre, ho comprato un'intera pagina del giornale più importante del Giappone per perorare la fine di tutti i conflitti, ho speso i miei soldi a restaurare in 20 anni l'antico tempio nel quale predico. Eppure i focolai di guerra non si estinguono, i miasmi di sangue diventano intollerabili. Ignoro quando e dove l'ingranaggio del mondo si sia inceppato. In questo Giappone che appare florido, la scuola non insegna la morale, ci sono trentamila suicidi l'anno. Ne ho conosciuto uno, Mishima, con lui ho scambiato lettere per anni, uno scrittore geniale schiacciato dal peso di vivere». Eccolo il j'accuse di Harumi, ancor più tremendo perché a dirlo quasi sussurrando è senza questa piccola vecchia in kimono nero e rosario di cristallo. «Alcune anziane

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