In un documentario i segreti di Fabrizi e Fellini
«In un altro Paese», di Marco Turco, recente vincitore al Festival dei Popoli di Firenze che, forse a causa degli scottanti legami tra mafia e politica, da giugno scorso, Raitre continua a tenere bloccato nella sua library; e «Il fare politica» del belga Hugues Le Paige, un'originale «Cronaca della Toscana rossa» coprodotta dalla tv pubblica del Belgio Rtbf e dalla rete culturale francese Arte, che le reti italiane si sforzano di ignorare. Ha ragione il direttore del Fipa Pierre-Henri Deleau quando sostiene che saranno ben pochi ad andare in onda sulle reti europee quei programmi che ogni anno a Biarritz compongono il palinsesto ideale de «La Tv che non c'è», esclusi dall'impenetrabile glaciazione conformista che sembra aver attaccato anche i canali tematici di Sky Tv, se è vero che la parola d'ordine ripetuta dai vertici della pay-tv di Murdoch è: «Alleggerire». E se l'ostracismo riservato alla tv che non si riduce a pura evasione ed effimera curiosità continuerà anche per il bel lavoro del fratello di Carlo Verdone, il grande Aldo Fabrizi ne verrà colpito una seconda volta, dopo che in vita gli fu negato l'omaggio dovuto a un artista del suo rango, forse perché dichiaratamente di destra e, quindi, poco meritevole della considerazione dei critici e degli intellettuali del tempo, quasi tutti schierati sull'altro versante, come osserva Tatti Sanguinati nel documentario di Rai International. «Fabrizi & Fellini» mette l'accento sull'amicizia tra il celebre comico romano e l'autore de «La dolce vita», ma anche sul sodalizio artistico che legò i due dal '39 al '45, quando Rossellini volle entrambi in «Roma città aperta». «Lo strano incontro» avviene nel camerino del Corso Cinematografo, dove Fellini (allora giornalista) andò per intervistare Fabrizi, già affermato attore di «Avanti c'è posto», e poi «Campo dei Fiori» e «L'ultima carrozzella», entrambi con Anna Magnani, ai quali il giovane Federico (che era andato ad abitare a casa del suo amico romano) aveva contribuito come sceneggiatore. Quelle commedie popolari, intrise di spontaneità e di personaggi realistici, furono l'anticamera del Neorealismo. Le divergenze col fedele sceneggiatore di Rossellini, Sergio Amidei, sul set di «Roma città aperta», allontanarono Fellini da Fabrizi che ne rimase offeso. Né, più avanti, aiutò a migliorare il rapporto la mancata promessa di Fellini (oramai «mostro sacro» del cinema mondiale) di affidare «al mio amico Fabrizi» il ruolo di Trimalcione nel «Satyricon».