Marquez: «Da un anno non scrivo più una riga»
Da allora l'ispirazione di Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel della letteratura nel 1982, si è prosciugata. «Nel 2005 non ho scritto neanche una riga», confida lo scrittore dalla sua casa del Messico. La lunga intervista uscirà domenica sul magazine del quotidiano «La Vanguardia». Un'intervista talmente forte, anche per l'abitudine di Marquez di non raccontarsi, che il giornale ne ha fornito una breve anticipazione che già fa discutere. «Gabo», il prolifico autore di «Cent'anni di solitudine», di «Cronaca di una morte annunciata», dell'«Amore ai tempi del colera» e di altri capolavori che lo hanno reso lo scrittore più famoso del Sudamerica e uno dei più letti al mondo, l'autore che ha fatto scuola con il suo stile sudamericano fatto di fantasia e sensualità, ha appeso la penna al chiodo. Almeno per il momento. «Spero che un giorno l'ispirazione torni ma ci sono vari indizi che me lo fanno dubitare». Il famoso realismo magico di cui si deve la paternità proprio a «Gabo» è stato fonte di ispirazione per molti autori del suo continente, prima fra tutti Isabel Allende. Ma ora la magia della scrittura si è spenta proprio al padre della fantasia sudamericana. Il 2005 è stato dunque il primo anno in cui lo scrittore colombiano, che ha vissuto a lungo in Spagna, non ha scritto nulla. «Con la pratica che ho potrei scrivere un nuovo racconto senza problemi, ma la gente si accorgerebbe subito se non ci ho messo l'anima». Forse già in «Memoria delle mie puttane tristi» qualcosa si stava rompendo: Marquez racconta al giornale che il racconto è solo «una quinta parte» di quello che aveva in mente. Nell'intervista a La Vanguardia, «Gabo» racconta anche del suo rapporto con il computer e le nuove tecnologie, spiega il suo confronto con la politica, degli ex presidenti Felipe Gonzalez e Bill Clinton, di Francisco Franco, del suo ruolo di mediazione tra l'esercito di liberazione nazionale colombiano e il governo colombiano nei recenti incontri che si sono svolti a Cuba nell'ambito del processo di pace. Si dice più «un cospiratore» che «uno che firma manifestazioni» e spiega che si è sempre mosso sui canali della «diplomazia parallela». Rivela che per tanti anni è tornato in incognito a Barcellona, una città «in cui nei primi anni Settanta si viveva magnificamente» e dove non è voluto tornate stabilmente dopo la morte di Franco, appresa quando si trovava a Bogotà.