La vendetta dopo la strage di Monaco
Il 5 settembre del 1972, a Monaco di Baviera, dei terroristi palestinesi di un gruppo che si denominava Settembre Nero massacravano, nell'arco di un'intera giornata, undici atleti israeliani lì convenuti per le Olimpiadi. Dell'orribile attentato il cinema si è già occupato altre volte, sempre però affrontandolo nei suoi momenti più cruciali, oggi invece Steven Spielberg si occupa di quanto accadde o sarebbe accaduto - dopo, facendosi scrivere da uno scrittore premiato a suo tempo con un Pulitzer, Tony Kushner, un testo ispirandosi a un libro piuttosto discutibile di un romanziere ungherese, George Jonas, intitolato «La vendetta», pubblicato anche qui da noi. Perché «la vendetta»? Perché Jonas, seguito da Kushner, aveva immaginato che in Israele si fosse deciso di non lasciare impunita quella strage e si fossero incaricati degli agenti del Mossad, pure in via molto ufficiosa, di rintracciare tutti i mandanti, dovunque fossero, e di eliminarli. Lo schema del film, così, si adegua a questa versione, configurandosi però, e allora con tutte le carte in regola - narrative e drammaturgiche - come un vero e proprio thriller. Al suo centro, di conseguenza, ci sono quattro israeliani decisi a tutto che, con la copertura a distanza dei comandi e sotto la guida di un ufficiale ardimentoso (l'australiano Eric Bana), attraversando l'Europa e il Medio Oriente, da Roma a Beirut, per snidare e poi uccidere le persone indicate come bersagli. Fra di loro c'è un autista sempre pronto a fughe rapide (Daniel Craig, il futuro James Bond), un abile falsificatore di documenti (il tedesco Hanns Zischler), un esperto di esplosivi (Mathieu Kassovitz), e un altro (Ciaran Hinds), capace dopo ogni azione di farne scomparire le tracce. Il merito del film, le sue tensioni maggiori, sostenute da una regia in cui Spielberg mostra come sempre di saper dominare il cinema e tutti i suoi effetti, sono proprio in questo avvicendarsi di eventi ciascuno dei quali culmina via via, dopo una preparazione meticolosa, con l'uccisione di quelli additati come obiettivi anche per intervento di spie mercenarie (tra queste il noto attore francese Michael Lonsdale). Verso la conclusione, quando il protagonista entra in crisi sui fondamenti giuridici della missione, anche se il suo ritratto più da vicino trova ancora in Spielberg un evocatore incisivo, rischia (come il libro da cui è tutto è tratto) di suscitare delle perplessità come se, dal punto di vista psicologico, intendesse porsi in contraddizione con quanto vi precede. Pur contestata da alcuni, anche quest'ultima parte non sminuisce gli impeti spesso quasi spietati e convulsi di un'impresa cinematografica dotata di un impatto spettacolare indubbiamente forte. È in grado di coinvolgere.