Il fascino anarchico dell'ebbrezza
50euro). Non è una guida verso l'incoscienza, o il paradiso. E non è neppure un saggio su come uscire dal tunnel (o entrarvi, dipende dai punti di vista, e dalla visione morale del mondo). Sono - più semplicemente (o in modo più complicato: dipende ancora dai punti di vista) - i racconti di viaggio di uno dei massimi intellettuali del XX secolo: Ernst Junger, scomparso nel 1998 alla venerabile età di 103 anni. Vissuti tutti al centro della scena, con un ruolo da protagonista dell'intelligenza. Il primo saggio (quello intitolato appunto «Droghe ed ebbrezza»), Junger lo scrisse nel 1969. Poi allargò i cerchi delle esperienze e delle riflessioni (come un sasso nello stagno) ricavandone una raccolta antologica sulla fenomenologia «degli stati alterati di coscienza», rievocando le imprese giovanili (con la birra, il cloroformio, l'hashish, la cocaina), arrivando alle esperienze mature (l'Lsd, con Albert Hofmann, il padre scientifico dell'Lsd, ancora vivo, centenario anche lui, e in ottima salute). Tutti sanno chi sia Junger, uno dei pensatori più prolifici del secolo passato: nemico delle dittature, ma anche delle democrazie; paladino della libertà nel suo ultimo stadio, teorico dell'anarca, che «conosce e valuta bene il mondo in cui si trova, ed è capace di ritirarsi da esso quando gli pare», che «non ha società: la sua è un'esistenza insulare» (come ha scritto Antonio Gnoli). L'uomo ideologizzato da Junger non è un disertore, è un refrattario, che si è ritirato in se stesso, ed è lì che attinge alle fonti della moralità ancora non disperse e inquinate nei canali delle istituzioni della società. In un bosco che è «una metafora per indicare un territorio vergine in cui sottrarsi agli imperativi e alle grinfie del Leviatano». Negli "avvicinamenti" e negli straniamenti della droga, Junger compie percorsi intellettuali e letterari. Racconta i danni provocati dal tabacco, ma anche i piaceri: «Basta pensare al senso di benessere che il fumo porta nella conversazione, al modo in cui esso può abbreviare un'ora di noia o rendere meno gravosa un'ora di tristezza, a un'associazione di pensieri il cui sorgere potrebbe essere in questa maniera favorito, o semplicemente a un attimo di felicità». Ricorda i piaceri del vino e gli svantaggi dei suoi eccessi all'interno della gerarchia sociale («Indietro, brav'uomo, puzzate di acquavite»). Ripercorre la storia della cocaina, che divenne di moda durante la prima guerra mondiale, ricordando il suo primo contatto con la "neve". La citazione è lunga, ma lo merita: «Presi la penna con l'intenzione di descrivere le foglie che avevo visto sulle lastre di pietra. Mi stavano ancora davanti agli occhi, con il loro verde metallico, "sul quale si depositava la ruggine variopinta dell'autunno". Mi era riuscita bene una frase che deve essersi conservata da qualche parte. Seguirono alcune impressioni già cariche di tensione, poi in una sequenza sismografica dei tratti di penna illeggibili. Ben presto rinunciai a scrivere, aveva perso d'importanza. Sentivo che la mia forza rappresentativa stava crescendo, e tanto più cresceva, tanto meno era in grado di produrre rappresentazioni: un paradosso di cui ovunque nella natura animata e inanimata si possono trovare esempi. Un bacino deve avere un canale di deflusso che corrisponda alla sua portata. Se il contenuto è molto grande, questo farà saltare le pareti del bacino piuttosto che passare attraverso un semplice tubo. In modo simile, è più facile che la tensione troppo alta faccia fondere le valvole di sicurezza piuttosto che passare attraverso di esse. Il mio cervello si trovava dunque nello stato del bacino troppo pieno o della batteria caricata fino al limite. Non poteva più produrre energia al dettaglio. Con una tale energia si potrebbe dare luce a un'intera città piuttosto che a una lampada di ufficio. Incapace di agire, ma non per difetto, bensì per eccesso». E il diario, minuto per minuto, del primo incontro con l'Lsd, insieme ad Hofmann,