di CARMEN GUADALAXARA COSTRUIRE un'incubatrice sonora.
Nonostante sia impegnata nel programma «Amici di Maria De Filippi» come insegnante di canto, pubblica un nuovo disco «Respiro», undici brani, edito da Rai Trade. E non mette da parte la sua laurea in musicoterapia impegnandosi quotidianamente nel risveglio di pazienti in coma e su bambini nati pre-termine presso varie aziende ospedaliere della capitale. «Ad un certo punto della mia carriera - spiega - ho sentito il bisogno di utilizzare la musica per uno scopo diverso da quello che aveva sempre avuto per me. Sono riuscita a coniugare il mio amore per la musica con la mia aspirazione di rendermi utile al prossimo». Grazia si racconta durante la presentazione di «Respiro» disco di palpabile e raffinata vocalità che, tra l'altro, accoglie «Habi» un singolo che racconta la storia di una donna kamikaze palestinese che si fece esplodere nel 2003 in un centro commerciale. «Habi - racconta Grazia - ha commesso un gesto imperdonabile. La vicenda mi ha colpito per il contrasto tra la bellezza, la speranza di felicità, la vocazione agli affetti familiari che ogni donna dovrebbe portare in sé, e la tirannia di un odio che in questo caso è piu forte dell'amore». Ci spieghi meglio il progetto dell'incubatrice. «È provato che tutte le esperienze ritmico-acustiche che il bambino fa durante la vita uterina, contribuiscono all'avvio della sua vita psichica ed emotiva (relazione, memoria, apprendimento) oltre che al suo sviluppo fisico. Un bambino nato pre-termine, si trova ad affrontare molti problemi di ordine fisico e psicologico, dall'insufficienza di importanti funzioni vitali, al bisogno continuo di un'assistenza psicologica che possa ridurre l'angoscia per il prematuro distacco dalla madre. I genitori, devono a loro volta affrontare una situazione psico-affettiva a cui non erano preparati. Ogni anno su mille bambini nati, cento sono prematuri e necessitano di terapia intensiva e assistenza continua. L'incubatrice sonora riuscirebbe a ricreare l'ambiente uterino, purtroppo, potrebbe sembrare strano, è difficile la realizzazione materiale dell'apparecchio». La musicoterapia ha influenzato la sua maniera di scrivere? «Si. Prima per me la canzone aveva una struttura rigida composta di intro, strofa e ritornello. Dovevo preoccuparmi di farla andare bene per le radio, il discografico, il marketing. In quel modo, si rischia di bruciare il momento dell'ispirazione, della voglia di comunicare, perché ti devi relazionare per forza con quello che ti succede intorno, cosa che io, a un certo punto, ho voluto mettere da parte. Quello che è venuto fuori forse sarebbe improponibile per il mercato discografico. Scrivo delle specie di "suite", non so come altro definirle, delle cose che non hanno quel capo e quella coda, che vanno, partono e non so dove arrivano ma mi sono sentita libera di fare quello che volevo. Forse non potrei farne un disco, ma dal punto di vista della creatività, della possibilità di esprimersi veramente, per me è stato molto utile».