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Tutti più intelligenti con i media «stupidi»

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Ma anche questo luogo comune rischia di essere sfatato: sembra che a ravanare nella spazzatura si trovino le perle. È un dato di fatto che il quoziente di intelligenza delle nuove generazioni risulta molto più alto di quello che si registrava un quarto di secolo fa. La playstation aguzza l'intelletto, e la videodipendenza allarga gli orizzonti. Anche quella giudicata più dannosa; anche - per intenderci - la tv "deficiente", e quella dei reality. Un Pappalardo che urla e si batte i pugni sul petto, due o tre "famose" (lo saranno, lo saranno, prima o poi…) che si prendono per i capelli, qualche giovane ruspante che si racconta nel confessionale, un Enzo Paolo Turchi che piange in diretta: tutto contribuisce a sviluppare la nostra cultura e la nostra capacità di comprensione. Un illustre studioso americano di neuroscienze, Steven Johnson ha scritto un libro per sostenere questa tesi (che potrebbe apparire stravagante, oltre che provocatoria) e per motivarla. Il titolo è esplicito: "Tutto quello che fa male ti fa bene" (Mondadori, Saggi, 15 euro). Il sottotitolo non lascia margini di dubbio: "Perché la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono più intelligenti". Vale la pena di leggerlo questo libro, anche muovendo da un rifiuto totale delle tesi in esso contenute. Qualche riflessione si è comunque portati a farla. Riguardo ai videogiochi, Johnson elogia soprattutto quelli di ultima generazione: gli adulti si arrendono facilmente ai meccanismi troppo complicati; i ragazzi (e persino i bambini) riescono a raggiungere i livelli più alti di gioco, persino facendo a meno dei manuali di uso (che qualche volta raggiungono le duecento pagine). Johnson racconta un episodio capitatogli con il nipotino di sette anni, mentre giocavano insieme con SimCity, un simulatore che offre la possibilità di simulare la costruzione di una città in espansione. "Mi stavo concentrando sul tentativo di ridare slancio a un quartiere industriale particolarmente in declino. Mentre contemplavo le opzioni, mio nipote saltò su dicendo: 'Secondo me bisogna abbassare le aliquote delle imposte industriali'. Lo disse in modo naturale, con la stessa sicurezza con cui avrebbe detto: 'Secondo me bisogna sparare al cattivo'". Johnson dà per scontato che il nipotino non sia né un genio né un extraterrestre. Semplicemente, a sette anni, ha sviluppato connessioni logiche del tutto estranee a chi - alla sua stessa età - giocava con le bambole o con i soldatini di piombo. È chiaro che per lui (per tutti loro) sarà più facile, a venticinque anni, capire la new economy, orientarsi nell'alta finanza, speculare sulle oscillazioni del cambio. La playstation offre nuovi modelli di apprendimento: più divertenti di quelli tradizionali. "Insegniamo l'algebra ai ragazzi sapendo benissimo che il giorno in cui lasceranno l'aula, il 99 per cento di loro non utilizzerà mai direttamente le proprie capacità algebriche. Imparare l'algebra non significa acquisire uno strumento specifico; significa costruire un muscolo mentale che risulterà utile in altre situazioni". I videogames sono più divertenti dell'algebra, e agiscono sullo stesso muscolo. E non limitano affatto la fantasia, come sostengono i nostalgici dei giocattoli poveri. E offrono un premio incomparabile: la "gratificazione". Misurarsi con se stessi e arrivare all'ultimo livello è la ragione per cui un ragazzino è disposto a spendere molte ore del proprio tempo senza annoiarsi (il che accadrebbe fatalmente davanti ai libri di scuola). Questo tipo di compenso se lo guadagnano (a prezzi stracciati) anche gli adulti che aprono la penultima pagina di questo giornale per sfidare se stessi nella soluzione del sudoku. Si sentono gratificati; più lo risolvono rapidamente, e maggiore è la gratificazione. Nei videogiochi è nascosta la stessa logica applicata da Galileo: il metodo scientifico de

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