Sciascia riscritto dal nipote per il palco

Due eccezioni: quella di Augusto Zucchi negli anni Ottanta, la fortunata versione cinematografica di Damiano Damiani, con Franco Nero e Claudia Cardinale. A incarnare il giallo d'azione, incentrato sulle dinamiche degli ambienti mafiosi e sui loro delitti, sono Giulio Base e lo stesso Gaetano Aronica, con la partecipazione di Alessia Cardella, Stefano De Sando, Vanni Materassi, Pippo Montalbano, Roberto Negri, Paolo Macedonio, tutti diretti da Fabrizio Catalano Sciascia, nipote dello scrittore di Racalmuto. Dice quest'ultimo: «Ci siamo presi la licenza di cambiare il nome di questo personaggio, da Ferlisi a Di Natale facendolo diventare così il coprotagonista, una sorta di Virgilio che guida il carabiniere venuto dal nord alla scoperta della Sicilia, questo perchè il ruolo del maresciallo ci sembrava un po' sottovalutato nel romanzo e vogliamo sfatare lo stereotipo dell'uomo del nord che scende a combattere la mafia, a scapito dei tanti siciliani che si impegnano in questa lotta». Punto di riferimento originale e assoluto della successiva narrativa legata alla tematica mafiosa, quest'invenzione letteraria, datata 1961, conferma tuttora la sua attualità e si pone come fonte attendibile di verità all'epoca quasi sconosciute. La trama si ispira a un fatto realmente accaduto come il "caso Tandoj", omicidio di un commissario di polizia, spacciato come vendetta passionale e, poi, smascherato nella sua vera matrice mafiosa grazie anche alle indagini giornalistiche di Bernardo Valli e Giuseppe Fava. "Cose e non parole" diceva Sciascia, ma i rapporti fra i personaggi, sotto un'apparente leggerezza, sono intricati e complessi, suscitando spesso l'impressione di non poter scoprire nulla di rilevante. L'autore stesso negava la possibilità di un "giallo siciliano" in quanto nella sua regione la verità non esiste o viene sbeffeggiata, quando non coincide con la pazzia, come ci insegna Pirandello. Ecco allora che i protagonisti sono maschere disposte a svelarsi o negarsi, a confessare o a occultare gli eventi in una dimensione claustrofobica e persecutoria. Il capitano e il maresciallo non escono mai dalla stanza e tutti gli altri personaggi finiscono per litigare o smentirsi, tutti dominati dall'urgenza di dire, anche quando non dicono. Come personaggi usciti dal pirandelliano "Così è (se vi pare)", accettano di sottoporsi all'interrogatorio, se addirittura non lo stimolano. La messa in scena fra ironia e suspense tiene lo spettatore sulle spine, scoprendo e nascondendo, senza essere mai volutamente esplicita. Il tutto si compie in una Sicilia letta come metafora di una riflessione d'ampio respiro sulla giustizia e sui poteri che l'uomo d'oggi e di ieri si ritrova ad affrontare al di là dei confini geografici.