Pickett il discolo che mandò in crisi Sanremo
Già, c'è stato un momento in cui le star internazionali partecipavano alla rassegna, mettendosi in gioco e rischiando l'eliminazione. Cominciamo con l'edizione del 1969, quella in cui Pickett prese parte alla gara cantando «Un'avventura», brano di Lucio Battisti, che bissava l'esecuzione. È bene chiarire subito che nel 1969 Battisti faceva ancora il cantante nel senso classico del termine: dischi, interviste, festival, radio, Tv, addirittura tour. Già un paio di anni dopo non sarà più così. Come autore è già famoso (e forse già ricco), come interprete un po' meno. La vetrina di Sanremo funziona alla perfezione. Battisti appare rilassato e di buon umore, sa che quello non è il suo pubblico, ma «Un'avventura» è comunque un buon rhythm and blues all'italiana, magistralmente replicato da Wilson Pickett. Il cantante americano era arrivato su quel palco carico di gloria, militare innanzitutto, come veterano del Vietnam, ma soprattutto come sanguigno cantante soul. Già il suo primo successo, «If you need me», anno 1963, ispirò i giovanissimi Rolling Stones che ne fecero una cover altrettanto memorabile. A seguire la valanga di successi: «In the midnight hour» , «Land of a thousand dances», «Mustang Sally», «Everybody needs somebody to love», «Funky Broadway», una straordinaria versione di «Hey Jude»). Carattere impossibile, abituato a chiedere e ad ottenere tutto, Pickett creò non pochi problemi agli organizzatori di Sanremo. All'ultimo momento nella sua band era venuto a mancare il sax baritono e quando si trattò di salire sul palco con il gruppo al completo venne reclutato Sergio Rigon. Nei filmati d'epoca si vede ancora Rigon, vestito diversamente dagli altri componenti della band, che suona il suo sax, defilato e un po' intimidito. Ma i guai seri Wilson Pickett li aveva creati un paio d'ore prima. Voleva una donna. A tutti i costi. Bardato con lunghi stivali e una pelliccia di lupo, aveva iniziato a demolire la stanza. Gli organizzatori si impaurirono e alla fine convocarono cinque «professioniste». Nella hall del suo hotel il cantante valutò le ragazze ma alla fine la sua preferenza andò ad una addetta della sua casa discografica, presente in veste ufficiale. Gli spiegarono che quella ragazza non era disponibile e Pickett ne fece una questione personale. Tornò in stanza per completare l'opera demolitrice. Alla fine cantò «Deborah» anche grazie al «sacrificio» della discografica.