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Il senso della scoperta del mondo e di se stessi: dalle follie di Cervantes ai simboli di Magris

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C'è qualcuno che, almeno una volta nella sua esistenza, non l'ha vissuta? Si sceglie un "tempo", si sceglie uno "spazio": ci si organizza e ci si mette in movimento. Oggi più che mai. Oggi tutti possono farlo. La portinaia mette da parte i soldi, l'agenzia le scova una bell'itinerario esotico, ed eccola a bruciarsi al sole delle Maldive, anche se, magari, di Roma conosce soltanto la Stazione Termini e quel po' di Papa che ti può regalare una gita parrocchiale. Il borghese piccolo piccolo accumula per una vita fantozziani risentimenti, e voglie matte ma insoddisfatte, fino all'"esplosione" liberatoria: ha risparmiato il centesimo, l'Austria Felix, Vienna, il concerto di Capodanno lo aspettano. E poi c'è la gettonatissima Cuba che ammalia i cercatori del tempo (e del Che) perduto e quelli che, molto più prosaicamente, vanno a caccia di sigari e di compiacenti sigaraie. Sì, viaggiare. Dove, come, quando, con chi, non è un problema. Ci sono occasionissime per gli studenti e per gli sposini, biglietti aereo a prezzo stracciato per le comitive, perfino puntuali Baedeker con consigli incorporati per (non) evitare i pericoli. Una goduria per gli aspiranti avventurieri. I quali, spesso incanutiti ma mai dòmi, lasciano a casa figlioli prudenti e responsabili, e se ne vanno a cercar guai nelle zone calde del mondo. Tanto, Dio, il governo e il ministro degli Esteri vedono e provvedono. Sì, viaggiare. Valigie, macchine fotografiche, videocamere. Un sacco di gente che vuol vedere quante più cose possibili, collezionare immagini, stupirsi e stupire: al ritorno, ne avranno da raccontare! Un album di ricordi strapieno: e gli amici che lo sfogliano, si complimentano, un po' invidi e un po' lividi, mentre il Marco Polo novello evoca la sua Samarcanda. Il viaggio è tutto questo: occhi ed emozioni in giro per il mondo. E la gran soddisfazione di dire: io ci sono stato, tu no, adesso ti racconto. Ma il viaggio non è solo questo. Perché è anche - e da sempre - una straordinaria metafora. Sovraccarica di segni, significati, suggestioni. Così la gioca e così ne svolge la complessa trama, ad esempio, Claudio Magris nel suo ultimo libro («L'infinito viaggiare», Mondadori, 243 pagine, 17 euro). L'insigne germanista, è vero, racconta, con la prosa elegante dell'intellettuale di rango (professore universitario, romanziere, elzevirista) paesaggi dalmatici, danubiani,russi, iberici, asiatici, il Nord e il Sud del mondo, gli Antipodi; ma li fa precedere da una trentina di pagine di introduzione che, per l'appunto, scavano nel "simbolo". Davvero infinito il viaggiare, perché "dentro" ci sono peripli esistenziali, paesaggi dell'anima, interrogativi plurali: lo "status viatoris" dell'uomo, e cioè la sua condizione di viaggiatore che si conclude (?) con la morte, contiene la vicenda personale di ciascuno e, a un tempo, ha la forza esemplare di una parabola. Criptica e polivalente: "dentro" c'è posto per Novalis (alla domanda «Dove siete diretti?» dell'«Enrico di Ofterdingen», viene risposto: «Sempre verso casa»); per Rilke («Perché cavalcate per queste terre?» chiede nella famosa ballata l'alfiere al marchese che procede al suo fianco. «Per ritornare», risponde l'altro); per Borges(«Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto»); per un "pazzo parigino" («Le voyage pour connaître ma geographie»). E per Cervantes, Musil, Michelstaedter, Weininger, Canetti, tanti altri, tutti insieme, appassionatamente e in modo inquietante, viaggiatori, compagni di viaggio, suggeritori di percorsi di significato. Che dire? Che forse dovremmo, in questo mondo che brucia tempi e spazi, e sbriciola sensazioni ed emozioni, tutto lasciando alla misera conta de

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