L'Opera di Roma inaugura domani la stagione 2006 con il «Don Giovanni» di Mozart
Eppure il germe della vicenda del dissoluto punito dal Cielo sembra debba comprensibilmente doversi ricercare lontano, in una testimonianza controriformistica, giacchè la necessità di un pentimento, magari anche in fin di vita, fu come una sorta di Leimotiv della predicazione gesuitica. Ma la grande fortuna teatrale e musicale del mito pagano di Don Giovanni, il dissoluto che non si pente neppure dinanzi all' approssimarsi della punizione divina, risiede innanzitutto nella sua ambiguità, nella sua doppia valenza di tragicità e comicità insita nel racconto già dalla prima definizione teatrale di Tirso De Molina (Barcellona, 1630), per l'appunto una tragicommedia, e nella geniale riscrittura di Molière (Parigi, 1665), diretta antecedente del libretto di Da Ponte per il Don Giovanni mozartiano (Praga, 1787), per non dire della meno nota stesura goldoniana (Venezia, 1735). E nella musica il mito del dongiovanni, che disonora le donne a grappoli senza alcuna remora morale e conduce vita dissoluta e cinica, aveva trovato ospitalità ben prima di Mozart in opere di compositori minori da Melani a Righini, da Tritto a Gazzaniga, quest'ultimo (1787) saccheggiato nella parte letteraria da Da Ponte, per non dire del balletto Don Juan di Angiolini e Gluck che a Vienna (1761, Burgtheater) avviava una riforma espressiva del "ballet d'action" sino all'unica opera comica di Scarlatti, Il Trionfo dell'onore, (1718) in cui la dongiovannesca vicenda si risolve con un libertino pentito a sorpresa dinanzi alle minacce del fratello della donna disonorata. Ma il mito di Don Giovanni, che ebbe una sua ultima reviviscenza moderna con The Rake's Progress (La Carriera di un libertino) di Igor Strawinsky (Venezia 1951) omaggio postumo al Settecento di conio mozartiano, lega essenzialmente la sua perdurante fortuna alla penna di Mozart che nel momento stesso in cui inscena la vita dissoluta del protagonista, che si muove con la stessa spericolata disinvoltura tra le donne nobili e le popolane (l'aria del catalogo con i suoi numeri "aperti" fu un vero colpo di genio sia del librettista che del compositore), incurante di ogni vincolo, sacramento (come il matrimonio), parteggia per lui, lo erge ad eroe negativo, che giganteggia sino all'ultima inevitabile catastrofe senza mai indietreggiare dinanzi a nulla, coerente fino alla morte. Intorno a lui una galleria di personaggi mossi da desideri (seppur umani) di vendetta, di amore, forse anche di odio-amore, di missioni di salvezza e redenzione impossibili, di sudditanza psicologica. Una variegara galleria di umanità offesa, coalizzata contro il trasgressore nonostante le diversità sociali. Mozart compose il suo capolavoro con grande euforia ed entusiasmo. "...il mio cervello s'infiamma, il soggetto si crea davanti a me tutto intero... - scrive in una lettera - Io non sento una dopo l'altra le parti dell'orchestra, ma tutte insieme. Con quale gioia non posso esprimerlo. Mi sembra di vivere un meraviglioso sogno. È forse il più grande dono del quale io debba essere riconoscente a Dio...". Sembra quasi che Amadeus si immedesimi nelle gesta del dissoluto libertino, condividendone l' inquietudine, la irrequietezza, la spensieratezza disinvolta, la ambigua sfrontatezza. In lui è il segreto della seduzione, dell'attrazione fatale maledetta. Non si capirebbe altrimenti perchè le donne da lui offese, in primis Donna Elvira, si dannino l'anima per redimerlo e riportarlo sulla retta via. Dolore e pathos si coniugano qui con momenti giocosi, per lo più riservati alla saggezza tutta popolare di Leporello, quasi pesce fuor d'acqua, vittima delle molle drammatiche dell'azione così splendidamente raccontate in musica sin nei minimi dettagli. Basti pensare a quel gioiello che sono le tre danze (un minuetto, una danza tedesca