Böhm fedelissimo di Amadeus
E Cesare Siepi resta insuperabile nei panni del dissoluto
Certo è però che la evoluzione del gusto ha reso talvolta desueti alcuni interpreti, magari vocalmente impeccabili per la loro epoca. A lungo il più mozartiano dei direttori è stato considerato Karl Böhm, che muoveva da una lettura per l'epoca fedele della partitura (un Mozart fors'anche preromantico ma molto nitido e cristallino). Con lui nella incisione del 1969 volle un cast di valore con il grande Fiescher-Dieskau nei panni del libertino, Birgit Nilsson e Martina Arroyo (Donna Anna e Donna Elvira), Peter Schreier (Ottavio) e il finnico Talvela (Commendatore). Il Don Giovanni del mito resta però quello di Cesare Siepi di cui fanno fede tre registrazioni: sotto la bacchetta di Krips con la Filarmonica di Vienna nel 1954 e cinque anni dopo con la medesima orchestra diretta da Leinsdorf accanto a Leontyne Price e Birgit Nilsson. Ma a dettare legge è ancora la registrazione del 1953 al Festival di Salisburgo con la bacchetta di Furtwangler e il tris vincente Siepi-Schwarzkopf-Dermota. Con Giulini sul podio della Philharmonia di Londra si impongono nel 1959 i nomi di Luigi Alva, l'australiana in ascesa Joan Sutherland, considerata l'erede della Callas, e la mozartiana doc Elizabeth Schwarzkopf. E la Sutherland torna a essere Donna Anna sotto la bacchetta del marito Richard Bonynge (1969) in una edizione che sembra voler tornare alle sonorità orchestrali settecentesche e che vede la Horne nei panni di Zerlina. Ruolo che di lì a poco fu interpretato da Mirella Freni con Colin Davis e l'orchestra del Covent Garden, In questa edizione appare già la elegante Kiri Te Kanawa (Elvira). Il soprano è stato infatti una eccellente Donna Elvira nello straordinario film di Losey (Lorin Maazel dirige l'Orchestra dell'Opera di Parigi) con un carismatico Ruggero Raimondi da antologia (Don Giovanni), Josè van Dam duttile Leporello e Teresa Berganza vispa Zerlina. Di spicco l'ambientazione tra le ville palladiane e sul Brenta invece che nella solare Siviglia di De Molina e Molière, tanto che il dissoluto finisce tra le fiamme dei forni per soffiare il vetro di Burano. Karajan nel 1986 con i Berliner ricorse alla vocalità brunita di Samuel Ramey e ad un tris femminile d'assi con Anna Tomowa Sintow, Agnes Baltsa ma anche la Battle e un Furlanetto emergente come Leporello. La direzione scaligera di Muti si avvale invece (regia di Strehler) di una Gruberova in gran forma, della voce pastosa di Araiza e del mobile Leporello di Claudio Desderi. Con Harnoncourt e Cecilia Bartoli (Opera di Zurigo) si recupera una prassi esecutiva più attenta alla lettera mozartiana. Per non dire di Abbado, da sempre disincantato lettore di Mozart. Modernità e fedeltà finalmente a braccetto.