Allieva di Strasberg vinse due Oscar Ebbe una figlia con Vittorio Gassman
Anche in quella prima, comunque, i suoi successi, sia in parti di fianco sia, più tardi, come protagonista, era riuscita, a ottenerli. Mi è accaduto di cominciare a scrivere di lei nel '48, sapendo che esordiva al cinema dopo una discreta attività come fotomodella e ballerina. Il film, «Doppia vita», era firmato addirittura da George Cukor, e lei, bionda, procace, sensuale, si proponeva in una parte di saggia cameriera ma non si limitava però a dire «Il pranzo è servito». Sapeva sorridere, sapeva muoversi (magari un pò ancheggiando) e sapeva subito catturare l'attenzione (e la simpatia) degli spettatori. Raddoppiati, l'anno dopo, nel «Grande Gatsby» di Elliot Nugent dove era l'amante di un personaggio ricco e grossolano, il famoso Buchanam di Scott Fitzgerald. E riconfermati, grazie alla solida regia di George Stevens, in «Un posto al sole», nel 1951, nei panni di una giovane operaia vittima di un uomo, (era Montgomery Clift) da cui attendeva un bambino. Eccola però ormai protagonista: in cifre drammatiche con Anthony Mann in «Winchester '73», in ben dosate e abili cifre comiche nel «Cane della sposa» di George Beck, tornando al dramma nel «Grande coltello» di Aldrich e in quel film, «La morte corre sul fiume» che si ricorda anche perchè sarebbe rimasto l'unica regia (molto gotica) di Charles Laughton. Poi, dalla seconda metà degli anni Cinquanta, subito dopo il suo breve matrimonio con Vittorio Gassman cui darà una figlia, Vittoria, la grande svolta. Sempre più grassa, meno bella, i tratti ormai forti e segnati, una recitazione, però, che sempre più si stava affinando grazie soprattutto agli insegnamenti di Lee Strasberg. Un seguito di grandi interpretazioni, una fioritura di personaggi quasi fatti su misura per le sue misure modificate. Ancora con Stevens nel «Diario di Anna Frank» che le ottenne un Oscar per l'attrice non protagonista (era l'impaurita signora Van Daan), poi con Kubrick in «Lolita», dov'era, con accenti caricaturali, la madre della giovane protagonista, poi, ancora madre con Guy Green, in «Incontro al Central Park». Ecco, le «sue» madri. La sua nuova veste, la sua specialità. La madre, ad esempio, criminale e sanguinaria nel «Clan dei Barker» di Roger Corman che, non a caso, nella versione originale, si intitolava proprio «Bloody Mama»; la madre dominatrice in «Stop a Green Village» di Paul Mazursky. Per restare ancora madre, arrivata in Italia, nel film di Monicelli «Un borghese piccolo piccolo», in un personaggio quasi annichilito che un anno prima, però aveva assunto contorni quasi diabolici con Bolognini in «Gran bollito», dove era una madre-strega che, per il figlio, non esitava ad uccidere. L'ultimo film importante se lo vedrà affidare da Blake Edward e sarà «S.O:B.», sul sottobosco hollywoodiano da cui, distaccata e spesso quasi altera, aveva sempre saputo tenersi lontano. Quindi una sorta di dignitoso declino (sono gli anni Ottanta, è ormai sulla sessantina) che non le impedirà, nei Novanta, di tornare con Mazursky di nuovo con accenti comici («Buona fortuna, Mr. Stone») e, nel «Silenzio dei prosciutti», anche con il nostro Ezio Greggio regista e attore, con una comicità, questa volta, in cui si insinuava la parodia. Poi quasi il silenzio, dimenticando «La Bomba» di Base proprio con Vittorio Gassman e suo figlio Alessandro e dimenticando una sua commedia andata incontro a uno scarsissimo successo a Broadway, ricordando, invece, due sue autobiografie amabili in cui dava prova soprattutto di molto spirito. Non è stata un mito, come a Hollywood invece spesso succede, ma è stata invece un personaggio che, con due carriere, ha dimostrato come si vincono gli anni e la natura. Quello che non ha saputo fare Anita Ekberg.