PRIMA VISIONE
WOODY ALLEN ha ritrovato il suo smalto. E il suo vigore creativo. A Londra, non più a New York, e in nero, come in «Crimini e misfatti». Con uno scetticismo però anche più nero perché, se anche qui c'è un delitto senza castigo, questa volta, per spiegarlo, si cita la fortuna, pilotata dal caso. Due termini cui ormai Allen sembra affidare i destini dell'uomo, senza che la morale vi abbia voce. Si comincia con Chris, un giovane irlandese senza molti mezzi che, dando lezioni di tennis, conosce Tom, figlio di ricchi, è introdotto nella sua famiglia e presto lascia innamorare di sé la sorella di Tom, Chloe, a tal segno bene accolto dai suoi da finire per sposarla, grato al suocero che intanto gli ha trovato un lavoro redditizio. Ma Tom ha una fidanzata americana molto sensuale, Nola. Chris ne è attratto in modo quasi ossessivo e quando lei lascia Tom ne fa la sua amante segreta, tacendo ovviamente tutto alla moglie. Se non che Nola non tarda a ritrovarsi incinta e pretende che Chris lasci Chloe, con scenate molto pericolose per l'avvenire sociale dell'altro. Bisogna dunque farla tacere e Chris non esita. Anziché salvarsi, potrebbe perdersi, ma ci pensano il caso e, appunto, la fortuna. Così segnerà il «match point», il punto con cui, all'ultimo, si vince la partita. Gli rimarrà il rimorso, ma anche tutto il resto... Un testo scritto con mano maestra. I personaggi con segni precisi, non solo il protagonista e le sue due donne, un'azione dipanata con esattezza matematica; ogni elemento dosato senza più svolte umoristiche ma privilegiando il freddo, il calcolo e, appunto, il nero, portando il dramma fino alla lacerazione grazie ad accenti, che più sono lisci e lineari e più sanno diventare spietati, pur evitando le increspature. Sulla stessa linea la regia: in cornici londinesi che spaziano tra quartieri nobili come Chelsea e Belgravia, concedendosi soste in sontuose dimore di campagna o invece negli uffici avveniristici sul Tamigi dove il protagonista è soddisfatto di regnare. Mentre l'azione — sempre trattenuta, quasi sospesa, anche nei passaggi più esplosivi — anziché esser commentata questa volta da quegli echi jazz tanto cari ad Allen, lascia spazio solo alla lirica italiana, Verdi soprattutto, con la voce di Caruso, per sottolineare, all'unisono o in contrasto, con il Rigoletto, con la Traviata, con il Macbeth, quei passaggi in cui un idillio apparente slitta nel tragico. Splendida la recitazione di tutti. L'americana è Scarlett Johansson, sempre più incisiva, Chris, di fronte a lei, è l'inglese Jonathan Rhys Meyers. Ha tanti film alle spalle, questo è il suo migliore.