La lady che del nudo fece un'arte

LADY HENDERSON è realmente esistita. Era una ricca vedova che alla fine dei Trenta, in una Londra su cui già incombevano la guerra e i bombardamenti, aveva acquistato un teatro a Soho affidandone la gestione a un impresario di origine olandese, Vivian Van Damme. All'inizio con spettacoli di varietà 24 ore su 24, una novità però che, presto imitata, l'aveva indotta a ricorrere al nudo sia pure, per non scontrarsi con la censura, valendosi di ballerina immobili, come i dipinti e le statue nei musei. Il successo, specie presso i militari ormai in guerra, era stato tale che di nuovo la censura, per evitare pericolosi assembramenti in strada, aveva pensato a più drastici divieti. Sventati ancora una volta da Lady Henderson con la giustificazione che, con i suoi nudi, sosteneva il morale delle truppe. Si potrebbe pensare a un musical, in realtà Stephen Frears, dopo «Liam» e «Piccoli affari sporchi», valendosi di un testo molto calibrato scritto per lui da Martin Sherman, ha lasciato sì spazio agli spettacoli in scena, con canti, balli e «tableaux vivants», ma ha soprattutto rivolto la sua attenzione sul personaggio della protagonista, forte, deciso, senza mai cedimenti, e suoi sui contrasti, spesso tumultuosi ma non per questo meno amichevoli, con l'impresario, fanatico del proprio lavoro, ostinato, in più momenti anche aggressivo. Costruendovi attorno un ritratto d'epoca sia, prima dello scoppio della guerra, molto attento e fine, sia dopo, con i bombardamenti, forte e risentito; ora tenendosi alla cronaca, ora portando, ma sempre delicatamente, i sentimenti e gli scontri in primo piano e, di sfondo, anche le passioni, non ultime quelle civili. In una cifra che, nonostante da una parte la frivolezza degli spettacoli e, dall'altra, l'asperità della cornice bellica, si tiene sempre volutamente sotto tono, evitando, su un versante i patetismi e, sull'altro, i segni troppo vistosi e corruschi. Con immagini costruite sempre con perizia, sia dal punto di vista evocativo sia negli ambiti di una costruzione pittorica di gusto, spesso, quasi prezioso. Si guardi, per un esempio, la composizione figurativa cui, tra neri profili, si affida quella pagina del funerale che dà l'avvio alla vicenda. Nonostante la seconda parte, da un punto di vista narrativo, non abbia la stessa vitalità della prima, domina anche quella la recitazione di una delle maggiori attrici inglesi di ieri e di oggi, Judy Dench, in sapientissimo equilibrio fra l'autorità, la sensibilità e, come tutto nel film, i toni sfumati. Espressi sempre con segreto calore. Di fronte, nei panni dell'impresario, Bob Hoskins, all'altezza della sua fama.