Una trama che anticipa i meccanismi dell'indulgenza e del giustizialismo
Quando, nel 1949, uscì questa «gangster's story», (ora riproposta da Sellerio) William Riley Burnett era già uno scrittore affermato. Aveva infatti pubblicato un «noir» come «Piccolo Cesare», collaborato alla sceneggiatura dell'omonimo film con Edward G. Robinson e poi a quella di «Scarface» con Paul Muni, scritto una commedia gangsteristica come «Tutta la città ne parla», dato il suo contributo a «Una pallottola per Roy», col già mitico Humphrey Bogart. Insomma, di delinquenti se ne intendeva. Ma in «Giungla d'asfalto» c'è qualcosa di più. Qualcosa che preannuncia quel «Nessuno tocchi Caino», che caratterizza tanta mobilitazione garantista dei giorni nostri. E perché mai nessuno dovrebbe toccare Caino, invece di dargli una bella e meritata lezione, visto che ha ammazzato e continuerà ad ammazzare nei secoli dei secoli l'innocente Abele? Ecco qualche spiegazione, con tanto di «côté» ideologico, ormai diventato luogo comune politicamente correttissimo. Dunque, «in primis» tutti assomigliamo a Caino, tutti siamo colpevoli, tutti facciamo i nostri sporchi affari, traffichiamo, abbiamo scheletri nascosti negli armadi ecc. ecc.; in secondo luogo, anche Caino ha un'anima, capace di emozioni, sentimenti, passioni, e in particolar modo anche Caino ha una mamma e spesso dei figli; e poi, via, diciamolo, questo tipo d'uomo che delinque apertamente, sfidando le leggi e la morale comune, ha un suo stile, una sua personalità di tutto rispetto, e ha spesso i tratti del bel tenebroso in rivolta contro la società ipocrita e perbenistica; infine, a consolazione dei moralisti, a che serve punire Caino, quando la nostra esistenza è un tale intreccio di casi, di sorprese, di paradossi, per cui, a un certo punto, è il destino a regolare i conti? Ma tutti questi discorsi c'entrano con il romanzo di Burnett (cui seguì, l'anno dopo, l'omonimo film, diretto da John Huston, e destinato a diventare un «cult movie» anche per la presenza di una pimpante e svampita Marilyn Monroe alle prime armi, nella parte della pupa di un losco affarista)? Beh, una cosa è certa: i criminali di «Giungla d'asfalto» sono umani, troppo umani, per non essere presi in benevola considerazione e per non far scattare in noi nei confronti di Caino un atteggiamento indulgente, oggi diffuso sia nella società civile sia nella classe politica. Vediamo. Come è noto, la trama ha al proprio centro un «colpo grosso»: quello effettuato alla gioielleria Pelletier, una delle più prestigiose della grande città yankee in cui si svolge la vicenda, in un livido scenario di notti e nebbie, trapassate da luci artificiali che ne accentuano i tratti sinistri. Il genio criminale, ideatore e organizzatore, è un ometto dall'aspetto molle, pallido e untuoso, che si chiama Riemenschneider e parla con forte accento tedesco: un tipo abbastanza repellente e tra l'altro in perenne stato di eccitazione sessuale per ogni ragazzina che vede; e tuttavia così pacato, così padrone di sé, così gentile nei modi, da apparire simpatico. Dix, il teppista della «gang», quello che all'occorrenza deve tirar fuori la pistola e sparare senza starci a pensar troppo su, è ovviamente un duro, che oltretutto maltratta la propria pupa: ma anche un sentimentale che, dopo il colpaccio, vuol far ritorno al luogo natìo, a coltivare terra e memorie (ovviamente la sua ragazza, Doll, lo ama alla follia ed è disposta a seguirlo fino all'inferno). C'è anche Louis, meccanico di giorno e di notte no, attaccatissimo alla famigliola italiana e che proprio per moglie e figli mette da parte il gruzzolo degli «illeciti arricchimenti». Insomma, la «scelta» criminale dei protagonisti nulla toglie alla loro «umanità». E il lettore li accompagna con simpatia alla gioielleria Pelletier e in tutte le altre parti dove la fame di soldi, il cuore e il destino li porteranno. E arriva perfino a guardare con «pietas» il personaggio più ambiguo e sgradevole, l'avvocato Emmerich, che si è arricchito attraverso i traffici più loschi, senza mai sporcarsi le mani. Poveretto,