L'ULTIMO SAGGIO DELLO STORICO AMERICANO
Cahill: «I greci, nostri compagni di viaggio»Per lo studioso l'Occidente porta l'impronta inconfondibile dell'antico popolo
Thomas Cahill appartiene, senza dubbio, alla seconda categoria. Lo ha dimostrato con alcuni libri pubblicati in passato («Come gli Irlandesi salvarono la civiltà», «Come gli Ebrei cambiarono il mondo») e lo conferma con il suo ultimo saggio: «Come i Greci fondarono l'Occidente» (Fazi, 282 pagine, 18.50 euro). Cahill spiega il suo metodo di lavoro: «Del passato ci restano solo pezzi. Cocci, brandelli, palinsesti, codici fatiscenti con pagine mancanti, spezzoni di film-giornale, brani di canzoni, volti di idoli il cui corpo si è da tempo ridotto in polvere, che ci fanno gettare lo sguardo su qualcosa che non è mai stata la realtà nella sua compiutezza. Io metto insieme i pezzi che ci sono, li contrappongo e li confronto, cerco di frequentarli finché non comincio a vedere, a udire, ad amare quello che vedevano, udivano e amavano uomini e donne un tempo viventi, finché costoro cominciano a mostrarsi e riprendono vita spuntando da questi brandelli e frammenti. Poi mi sforzo di comunicare le mie sensazioni al lettore». Della civiltà greca Cahill racconta tutti gli aspetti fondamentali: l'arte della guerra, la poesia, la politica, il teatro, la filosofia, l'arte, e in ciascuno di questi campi coglie l'eredità rimasta viva fino ai giorni nostri, nel bene e nel male. Per esempio, la guerra. Eraclito disse che «è la madre di tutto, la sovrana di tutto». Platone scrisse che è una necessità «sempre presente in natura». E Omero la descrisse, con minuzia di particolari nell'Iliade. Omero non la raccontava come sarebbe stata ai tempi di Troia e dei capi micenei, ma come era nell'VIII secolo, ai tempi in cui fu scritto il poema. «Nonostante le numerose descrizioni di scontri tra due soli contendenti, il combattimento è soprattutto una faccenda di cariche in massa di fanteria corazzata, che si sposta lentamente e a ranghi serrati, a file successive, abbigliata non con manti aristocratici sulle spalle, ma bardati come scarafaggi, protetti dalla testa ai piedi da bronzo pesante, che avanza a piedi tintinnante e cigolante come una macchina ingombrante ma inesorabile». È da allora che l'Occidente vince le guerre o, almeno, la maggior parte di esse. «Anche altre tradizioni belliche, in Cina, nelle Americhe, in India e nelle isole del Pacifico, possono vantare una cultura militare plurisecolare. Ma nessuna può rivendicare una pratica di tale efficacia e flessibilità, capacità belliche così perfette nella devastazione». Da Alessandro il Macedone, alle campagne in Gallia di Cesare, fino alla metodica distruzione dell'Europa nella Seconda guerra mondiale. Si può storcere il naso di fronte a descrizioni di questo tipo. Si possono esporre le bandiere pacifiste, ma Aiace Telamonio parlava di "gioia della guerra", e il generale Patton, osservando il campo di battaglia in Normandia, pieno di morti e feriti, diceva: «Mi piace. Dio mi aiuti, ma mi piace tanto, l'amo più della mia vita». Cahill si domanda come mai non si sia ancora scoperto un antidoto militare adatto per sconfiggere il terrorismo internazionale. E si risponde, nell'unico modo possibile: «Forse quello che ci serve non è un antidoto militare». Cahill - che non si fa scrupoli - individua anche le lezioni negative. I Greci - sottolinea - erano classisti, razzisti e sessisti: e qualcuno di questi difettucci facciamo ancora fatica a scrollarcelo di dosso. Però, «non c'è nulla in cui gli antichi greci non abbiano messo il naso, nessuna esperienza che abbiano evitato, nessun problema che non abbiano cercato di risolvere. Oggi, qualsiasi esperienza facciamo, qualsiasi desiderio coltiviamo, qualsiasi cosa ci impegniamo a scoprire, ci accorgiamo che i greci sono arrivati prima di noi e li incrociamo mentre se ne tornano a casa».