Albertazzi-Roma, nozze bis
Il consiglio di amministrazione del Teatro di Roma ha confermato ieri la direzione artistica del grande attore-regista per un altro anno, garantendo una valida continuità alle sue scelte creative e gestionali e riconoscendo l'impegno profuso a vantaggio dello stabile capitolino. Il grande mattatore ha infatti saputo condurre l'Argentina e l'India in perfetta armonia con le istituzioni, aprendo le attività teatrali romane a uno stretto rapporto con l'Europa, valorizzando il patrimonio scenico nazionale e assicurando una variegata poliedricità di spettacoli e figure artistiche. Quali sono i motivi del successo della sua direzione, secondo lei? «Ho abbattuto il vecchio sistema degli scambi obbligatori di ospitalità fra teatri stabili, puntando piuttosto sulla centralità degli attori. Il Teatro di Roma è diventato rappresentativo della produzione scenica nazionale con l'Argentina riservato ai forti titoli e ai grandi interpreti e l'India adibito a luogo di sperimentazione e vivace innovazione. Mi sono legato a personaggi come Luca De Filippo, Massimo Castri e Mario Martone, impegnandomi a presentare uno spettacolo di ognuno di loro per ciascuna stagione per tre anni consecutivi». Da attore a direttore artistico. Come è cambiata la sua vita? «Per me è stata un'esperienza rivoluzionaria. Sono sempre stato un outsider, un trasversale, del tutto contrario al teatro da stabile che ritenevo privo di stimoli e di peperoncino oltre che tristemente déjà vu. Ritengo infatti che in arte ogni soluzione definita e confezionata sia una trappola fatale. Nel dirigere il Teatro di Roma, però, ho voluto non abusare di me e della mia immagine, lavorando in sinergia con il Presidente Oberdan Forlenza, con i collaboratori e con il sindaco Veltroni». Cosa prevede per il 2006? «Abbiamo avuto una buona stagione con molto pubblico e cominciamo bene. Anche il Festival dei Teatri d'Europa si può archiviare come un clamoroso successo. La mia attuale preoccupazione consiste nelle ristrettezze economiche provocate dai tagli di oltre il 20% dei finanziamenti, ma risolverò inventandomi qualche espediente e chiedendo aiuto agli sponsor. Sul piano progettuale vorrei realizzare un "Amleto" in formato ridotto ambientato nella sala prove per circa 80 posti che stiamo sistemando all'Argentina e poi sto pensando a un "Simposio" di Platone. Ancora non so se parteciperò anche come interprete». In che direzione va il teatro italiano? «Stiamo attraversando un momento di crisi della pagina e della scrittura scenica. Non è un caso infatti che cominci a emergere una generazione di trentenni interessati a cimentarsi con testi elaborati, recitati e diretti da loro. Il gradimento e il valore di simili operazioni lascia sperare in un superamento dalla dipendenza gerarchica nei riguardi della committenza. La gente apprezza in maniera speciale i monologhi, i recital e le letture lanciando un segnale preciso. La pièce bien faite rischia di annoiare e il pubblico richiede altre forme di coinvolgimento e di sollecitazione culturale».