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Il museo per l'idioma del Belpaese, sogno senza confini

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Il Presidente della Repubblica in persona aveva voluto aprire i battenti della rassegna intitolata «Dove il sì suona» (noto verso del 33° canto dell'Inferno dantesco), allestita nelle prestigiose sale della Galleria degli Uffizi lungo quel braccio di cortile che da piazza della Signoria porta dritto sulle rive dell'Arno. Era il 13 di marzo del 2003, qualche giorno prima dell'invasione delle truppe alleate nell'Iraq di Saddam, e il capoluogo toscano sembrava risplendere radioso e festante come se l'Alighieri fosse stato lì presente a veder finalmente festeggiato il suo italiano, quell'idioma partorito dalla parlata «volgare» e dopo settecento anni divenuto finalmente lingua nobile di una nazione. L'idea di una rassegna del genere era nata in Palazzo Firenze a Roma, nella sede della «Dante Alighieri» con un primo geniale abbozzo dell'etruscologo Massimo Pallottino, poi rimodellato dallo storico della lingua e accademico della Crusca Giovanni Nencioni e finalmente perfezionato dall'ambasciatore Bruno Bottai che trovò in Luca Serianni e nel gruppo dei suoi giovani allievi il definitivo compimento del progetto. L'evento fu un successo clamoroso per quella stagione, con un record di incassi unico in Italia, grazie agli ingressi record che superarono la soglia del milione di visitatori e per i quali fu richiesta una proroga straordinaria di alcuni mesi che posticipò la chiusura alle soglie del 2004. Gli ingredienti vincenti di una così complessa operazione andrebbero ricercati nella passione di uno studioso d'eccezione come Antonio Paolucci, Soprintendente al Polo Museale di Firenze e storico dell'arte raffinato e di un mecenate illuminato quale fu Alberto Carmi, un genovese naturalizzato toscano, già da molti anni alla presidenza dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze. L'idea di far nascere in Toscana un primo museo della lingua italiana fu caldeggiata, oltrechè da chi scrive, anche da Enrico Paoletti, fiorentino illustre e noto ai più forse per i tipi della casa editrice «Le Monnier», di cui è rimasto proprietario fino a qualche anno fa, ed oggi alla guida del Comitato cittadino della Società Dante Alighieri, meta di studenti di tutto il mondo. Molti si appassionarono al principio di veder riuniti agli Uffizi i capolavori in originale di Dante, Petrarca e Boccaccio tanto da annunciarlo pubblicamente come fece «Il Sole 24 Ore», venerdì 9 aprile 2004, con un articolo firmato da Pier Francesco Listri intitolato «Un museo per la lingua italiana». Da allora è trascorso più di un anno e di rinunciare ad un museo cittadino Enrico Paoletti proprio non ci sta, tanto da rilanciare un ambizioso programma di studio e di diffusione all'estero del più ricco patrimonio d'arte degli Uffizi ad iniziare da una serie di convegni che dal 14 gennaio avranno per tema la grande mostra di «Arnolfo Di Cambio. Alle origini del Rinascimento Fiorentino», organizzata in occasione del VII centenario della morte del grande scultore. Si spera con ciò di ritornare con più successo sull'argomento, magari puntando sulla favorevole stagione che attraversa oggi lo studio dell'italiano nel mondo e sull'orgoglio di una città dalle nobili origini, patria oltrechè di Dante anche di Machiavelli, Guicciardini e Leonardo. Nel paese delle «sagre» e dei «festival» effimeri, tra un taglio e l'altro al bilancio dei Beni Culturali, si dia fiducia a quella che sembra essere più di una provocazione e che potrebbe diventare per la città di Firenze e Soprintendenza fiorentina di Paolucci la quadratura di un cerchio tanto luminoso che, per dirla col Poeta, «solo luce e amore ha per confini». * Segretario Generale della Società Dante Alighieri

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