I Muti-boys travolgono il Senato
La quale è stata ieri dal maestro recata nell'Aula del Senato della Repubblica per suonare solennemente il «Concerto di Natale 2005». Che hanno apprezzato il Presidente della Repubblica con le alte cariche istituzionali, i senatori, il pubblico invitato e gli italiani amanti della musica a traverso la trasmissione in diretta televisiva su RaiUno e radiofonica su Radio 3. Non sappiamo, ed è cosa che c'interessa sapere, della famigerata «audience» e dello sciaguratissimo «share», nati a misurare, 24 ore su 24, il grado d'alienazione del popolo televisivo il quale, spiaccicato sul video, va esternando il suo proprio acritico gradimento o sgradimento, secondo un disfacimento del gusto che vieppiú assume proporzioni badiali: nella piú pervicace distrazione della superstite civiltà. C'interessa in vero rimarcare, ad alta voce, l'ufficio catartico da quest'emozionante concerto operato sull'ondivago cittadino - politico e non - sull'inferma cultura, sulla disorientata arte: quale un'onda che fra marosi sollevi d'un tratto i naviganti a piú limpido e puro orizzonte. Come al paro assai ci preme dei settantotto giovani strumentisti della «Cherubini» riportare un'affannata considerazione tradotta nella domanda pressante e drammatica: «Che sarà del futuro nostro e della cultura italiana?». Altresí e sovr'a tutto per una risposta a detta ragione, che investe in misura radicale le sorti della vita musicale del bel Paese in sèguito ai programmati tagli finanziarî, s'è accondisceso da Muti al solenne concerto a Palazzo Madama. Quanti ieri mattina hanno avuto agio di lodare ed amare l'Orchestra si saran detti tra loro che sarebbe un crimine, o bischerata cosmica, consentire a che un giorno venturo strumentisti di tal fatta, ora ragazzi, dovessero cambiare di mestiere, od acconciarsi a valicare i confini per là dove la musica tuttavia prospera, a causa d'un annichilimento degl'italici opifici musicali: strozzati dalla tenaglia dell'indigenza. Ciò che procura all'uomo onesta felicità - rammenti il politico - ciò che l'aderge agl'ideali «religiosi», alla coltivazione e comunione del «Bene», al pensiero dell'assoluto trascendentale sotto forma d'armonía sensibile qual'è il linguaggio dei suoni d'arte, non ha da essere riposto, né tanto meno cancellato, bensí onorato e portato dallo Stato ad esempio di virtú nazionale. Noi s'era pure assistito il giorno avanti alle prove generali del concerto: ed avevamo osservato il blocco di marmo sonoro farsi, quasi a prodigio e pianamente, statua levigata e fulgente. Nella lenta metamorfosi della forma la maggior commozione dell'ascolto e, forse, la massima soddisfazione del maestro: in virtú della propria docenza, diretta all'intelligenza e duttilità interpretativa dei giovani suoi allievi. E allorché ieri s'è sonato a fronte del Paese, a principiare dall'Inno d'Italia, vibrava per i segreti meandri dell'anima comune un sentimento di nobile orgoglio insieme e di lucido rammarico. Cui nel trascorrere della musica si sono sovrapposti, sovranamente signoreggiando, l'entusiasmo e l'ammirazione piú schietti per la gagliarda realtà musicale in atto. Se l'irruzione muscolosa e corrusca della Sinfonia della «Giovanna d'Arco», opera di garzonato verdiano da Muti plasmata a bacchico ed abbacinato inno contadinesco, c'ha riscaldato l'assenso e le vene, il top della memoranda performance è stato l'Entr'acte III della «Rosamunda» di Schubert che, nella delicatezza del fraseggio e nella tenera profondità del canto, giusta la resa mutiana - frutto del precedente e certosino lavorío: a calibrare e tornire una frase, una battuta, una singola nota - nemmeno l'elegiaca effigia d'un'ineffabile dolcezza avrebbe saputo eguagliare. Se nelle itale contrade il futuro dei musicisti non procedesse per lo piú in discesa, chi sa a quali professionali ed artistiche altezze potrebbero aspirare i giovani della «Cherubini» istruiti da