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Lo scimmione digitale fa rimpiangere il «mostro» creato da Rambaldi

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VISTO DAL CRITICO

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IL PRIMO «King kong» del '33, diretto da Cooper e Scholdsack, protagonista Fay Wray, l'ho visto da bambino e mi ha fatto paura. Il secondo, del '76, diretto da John Guillermin, protagonista Jessica Lange, mi ha fatto quasi ridere. Però ero già critico da tempo e mi è sembrato necessario, com'è mia regola, prendere anche in considerazione la possibilità che avesse un grande successo di pubblico. E difatti lo ebbe. Lo stesso criterio mi guida oggi, di fronte a questo terzo «King Kong», diretto da Peter Jackson, quello del «Signore degli Anelli», e interpretato da Naomi Watts, quella di «Mullholland Drive». Alla base, come negli altri due, c'è sempre il romanzo di Edgar Wallace, ripubblicato di recente per l'occasione, così ci si incontra di nuovo con un regista di mezza tacca che, con una troupe piuttosto scalcinata, si ostina a voler andare a girare un film d'avventura in un'isola ignorata dalle carte geografiche dove sembra che gli anni si siano fermati e dove, con il terrore dei suoi pochi abitanti, domina un colossale scimmione cui, per placarne la fame, vanno offerte, come gli antichi dei, sacrifici umani. Della troupe, assunta all'ultimo momento per il rifiuto dell'attrice protagonista, fa parte una graziosa ma sfortunata attricetta di quart'ordine che, catturata dagli indigeni, verrà data in pasto allo scimmione, pronto invece, dopo un po' a... innamorarsene. Però, catturato a sua volta e trasportato a New York, finirà ucciso sull'Empire State Building dove si è arrampicato stringendo tra i manoni pelosi la sua «bella». Gli elementi, appunto, per ottenere gli applausi del pubblico non mancano. Nel secondo «King Kong» coinvolgeva soprattutto quel mostro gigantesco creato dall'inventiva del nostro Rambaldi, qui con il digitale che ormai ha sempre il sopravvento in vicende del genere, l'effetto è centuplicato, con il contorno inedito di cariche efferate di animali antidiluviani che sembrano rubati a «Jurassic Park» e con molte pagine feroci fabbricate per suscitare tensioni, accompagnate a quelle un po' sentimentali che propongono la bella e la bestia a poco a poco quasi legati e, di sfondo, una verosimile New York anni Trenta. Jackson, come regista, sa il fatto suo, la sceneggiatrice Fran Walsh, pur premiata anche lei per «Il Signore degli Anelli», qualche caduta nel ridicolo non è riuscita a evitarla, specie quando tentava l'umorismo, ma non si può dire che il risultato cui mirava (sul piano dello spettacolo) non lo raggiunga. Agli attori di fare il resto. Naomi Watts, al centro, è molto bella e brava, gli altri attorno si adeguano, a cominciare da Adrien Brody, lo sceneggiatore che l'ama. Lo si ricorderà, premiattissimo nel «Pianista». Quello però era un altro film...

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