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Quilici, credibile romanziere «all'americana» tra storia e fantasia

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C'è da scommettere che se l'avessero interpellato sulla letteratura (e non sul cinema, che è il suo terreno di attività) si sarebbe posto il medesimo interrogativo. Un brutto libro americano è sempre meglio di un brutto libro greco e bulgaro. Ma si potrebbe anche dire pakistano o portoghese. O magari italiano. Senza offesa, s'intende. Quesiti senza risposta, forse perché la risposta è troppo ovvia. In America ogni prodotto intellettuale nasce da un apparato industriale. Il mercato è il più ampio del mondo (perché si estende a tutti i paesi anglofoni) e consente investimenti massicci (in tempo, denaro, consulenze, effetti speciali, controllo qualità). Michael Crichton - per fare un esempio - ha investito centinaia di migliaia (o milioni) di dollari per scrivere «Jurassic Park» o «Timline», mettendo a libro paga premi Nobel per la chimica, la fisica o la medicina, facendo viaggiare consulenti per descrivere fino ai minimi particolari l'ambientazione delle sue storie, assumendo collaboratori addetti alle ricerche bibliografiche. Questi criteri di lavoro sono molto lontani dalla mentalità italiana dove gli scienziati fanno gli scienziati, gli storici raccontano la storia (molto spesso in modo saccente e poco digeribile) e i romanzieri - nella maggior parte dei casi - narrano un microcosmo impermeabile a tutto quel che accade (o accadeva) intorno al protagonista della vicenda immaginata. E quasi nessuno mette la propria fantasia al servizio della ricostruzione di avvenimenti realmente accaduti: veri o verosimili che siano. Ci prova (ci sta provando da un po' di tempo) uno scrittore atipico nel nostro panorama letterario: Folco Quilici. Regista di film e documentari, divulgatore di razza con la passione per le scoperte, geografo, appassionato di spedizioni subacquee, Quilici è sulla breccia da oltre cinquant'anni. Suo padre, Nello, giornalista e storico, morì a Tobruk, nell'aereo in cui volava Italo Balbo, abbattuto per errore dalla contraerea italiana. Era stato chiamato in Libia per redigere il diario della guerra in Africa. Da molti anni Quilici si dedica alla narrativa più che alla cinepresa. E da sei anni ha centrato la sua opera su due archeologi subacquei protagonisti di mirabolanti imprese, tutte ai confini della realtà storica, con un lavoro di ricerca che è - appunto - molto simile a quella dei romanzieri americani più celebrati (e letti). Nella sua ultima fatica («La Fenice del Bajkal», Mondadori, 18 euro) Quilici cita nel frontespizio una frase di uno di loro, Ken Follett: «Nello scarto tra il verosimile e il non impossibile esiste uno spazio in cui un romanziere si può prendere la libertà di costruire le sue trame». Ed è quel che fa - con ottimi risultati - il nostro autore. Marco Arnei e Sarah Morasky (i due archeo-sub) compiono una spedizione nel lago Bajkal, in estremo oriente, il più profondo e gelido fra tutti i laghi della Terra, per cercare un aereo italiano, perduto nel 1945, che probabilmente aveva a bordo un contenitore stagno con documenti molto preziosi, forse i diari e gli archivi personali di Mussolini, destinati all'imperatore del Giappone, alleato dell'Italia e della Germania nella guerra che volgeva drammaticamente al termine. Quel volo non giunse mai a destinazione, e sulla sua sorte esistono poche (e incerte) testimonianze. La spedizione dei due protagonisti si rivela ardua e piena di incognite. Si avvale di strumenti tecnologici d'avanguardia, ma deve fare i conti con un mondo subacqueo tenebroso e ostile mai visto da occhio umano. Quilici dopo la parola "fine" ringrazia tutti i consulenti (geologici, aeronautici, storici) che lo hanno aiutato nel costruire il "verosimile") ed elenca i libri di storia letti e compulsati per rendere assolutamente credibile (e legittima) la sua storia intrigante. Tanto credibile da sembrare scritta da un romanziere

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