Il sogno di Shangai diventa dramma
NEGLI anni Sessanta la Repubblica Popolare di Cina pensava a un conflitto armato con l'Unione Sovietica. In previsione, ritenne opportuno spostare le fabbriche più importanti di Pechino e di Shanghai in più protette regioni occidentali, spostandovi insieme, naturalmente, tutti gli operai con le loro famiglie. Le conseguenze, per gli adulti, furono di uno sradicamento totale, mentre i loro figli, o perché ancora bambini o perché addirittura nati lì, si adeguarono perfettamente a quella situazione, legandosi, spesso anche intimamente, a quelle nuove cornici e a chi da sempre vi abitava, non tardando a scontrarsi con i genitori, sempre ansiosi di ritornare da dove erano partiti, mentre loro l'idea di quel ritorno la sentivano come una minaccia. Su una situazione del genere, il film cinese di oggi, firmato da Wang Xiaoshuai conosciuto qui da noi per una delle sue opere migliori, «Le biciclette di Pechino». I suoi sradicati sono un operaio che un tempo lavorava a Shanghai e la sua famiglia composta da una moglie, una figlia già adolescente e un bambino piccolo. La storia soprattutto si stringe attorno al rapporto conflittuale tra quel padre, autoritario e dispotico, e quella figlia, timida, depressa, ma non del tutto remissiva perché quando, mutate le condizioni politiche generali, sente annunciare trionfalmente dal padre che potranno ritornare a Shanghai, senza proprio ribellarsi, prova una cocente afflizione perché lì c'è tutto quello che le è caro, la scuola, un'amica del cuore, anche l'abbozzo di un primo amore con un giovanissimo operaio della fabbrica dove suo padre, fino a quel momento, ha lavorato con successo. Ecco così il dramma. Con note spesso laceranti, studiato però dal registra, che si è anche scritto il testo, soprattutto con accenti interiori, quasi di riflesso. La cifra è il realismo, smussato tuttavia nelle sue espressioni più estreme da uno stile che, privilegiando i dettagli molto ravvicinati e una composizione delle immagini spesso, pur partendo dal quotidiano, ispirata a un figurativismo pittorico, sospende quasi tutta l'azione in un'aurea di colta evidenza. Con un gusto visivo che però non va mai a discapito dell'umanità dei personaggi singoli, non solo i due protagonisti dai caratteri così opposti, il padre e la figlia, ma anche gli altri in secondo piano, abilmente analizzati anche nei loro risvolti psicologici più riposti. Nei panni della figlia, Gao YuanYuan, con un viso quieto, raccolto, chiuso in se stesso, già molto apprezzata nell'altro film di Wang Xiaoshuai «Le biciclette di Pechino».