L'8 dicembre 1980 l'ex Beatle veniva ucciso a sangue freddo da un fan a New York
L'affare Lennon
In questi giorni tutte le possibili ipotesi sono state analizzate: ricongiungimento con gli altri due superstiti del gruppo, artista e produttore d'arte d'avanguardia insieme a sua moglie Yoko, papà premuroso finalmente con il tempo necessario per occuparsi della carriera, mai decollata, dei suoi due figli, rock'n' roller sessantacinquenne mai pentito dei suoi primi amori, Chuck Berry e Little Richard. Insomma, con i se e i ma - ma fortunatamente anche con qualche robusta riedizione - sono stati coperti in qualche modo questi venticinque anni di assenza del Beatle più creativo e originale. Quell'8 dicembre non ha lasciato neanche un occhio asciutto presso tutti gli appassionati e la figura di Mark Chapman acquista ogni anno sembianze sempre più sfumate, al punto che questo «Silver anniversary» ha fatto scaturire un mare di carta e di scambi di posta elettronica. Se i fans non dimenticheranno mai quei cinque spari, la fortissima Yoko Ono, ormai settantaduenne, non ha mai voluto cambiare casa e ancora oggi abita al Dakota Building, mentre da tutto il mondo arrivano toccanti ricordi personalizzati. Fra i più sentiti quello di Jann Wenner, editore dell'autorevole «Rolling Stone», noto foglio di musica e di cultura giovanile. Quando fondò il giornale Wenner aveva appena 22 anni e la prima copertina la volle dedicare proprio a Lennon. «Erano le 22,49 e quella sera stavo a casa - ricorda l'editore - vennero interrotte le trasmissioni e dopo pochi minuti c'erano già centinaia di persone davanti al Dakota. Scesi in strada anch'io e vagai per tutta la notte da solo al Central Park. Fu terribile. La mia vita non è stata più la stessa». Meno apocalittico ma altrettanto significativo il ricordo di Keith Richards dei Rolling Stones: «John? Era capace di venirti a trovare dopo un concerto solo per scambiare qualche chiacchiera e parlare di musica in grande tranquillità. Del suo ruolo se ne fregava, si comportava come un ragazzo appassionato di musica. Quello eravamo e quello siamo rimasti. Ricordo che fui tra i pochi a dirgli che aveva fatto bene a chiudere con i Beatles». Mentre la stampa inglese continua ad accanirsi sulla rivalità con Paul Mc Cartney, riproducendo vecchie interviste, travisando il senso di antiche e un po' edonistiche dichiarazioni, i media statunitensi, in occasione di questo importante anniversario, ritengono che il Lennon più interessante sia stato quello a cavallo fra il 1971 e il 1973. Periodo in cui Lennon fu accanito protestatario, attivista, teorico della non-violenza, ma anche musicista fortemente legato alle sue radici rock and roll che non a caso sfociarono nella pubblicazione di «Mind games», un album che inizialmente si sarebbe dovuto chiamare «Make love not war», cioè fate l'amore, non la guerra, richiesta trasgressiva e iconoclasta, rispetto agli anni Sessanta, quando venne pronunciata per la prima volta. Un periodo di profonda introspezione ma anche di grande amicizia con Jerry Rubin e Abbie Hoffman, leader dello Youth National Party ed eroi della controcultura e con gli Elephant Memory, sanguigno gruppo di rock and roll. Certo è che a venticinque anni dalla scomparsa e a sessantacinque dalla nascita, il mito di John Lennon, anche con un occhio al music-business, continua ad essere più vivo che mai e l'interesse e il culto crescono proporzionalmente. Esigenza di miti veri o sfacciata voglia di «provare a ricominciare da capo», come cantava Lennon in «Double fantasy», suo ultimo album?