Una storia senza amore che riempie lo schermo
SCOMPARSO André Delvaux, i fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne sono certamente gli autori più significativi del cinema belga. Premiati quasi ad ogni festival, nel '99 hanno ottenuto a Cannes la Palma d'oro con «Rosetta» e proprio quest'anno l'hanno vinta una seconda volta con il film che esce oggi nelle nostre sale, «L'enfant», all'insegna, come tutti gli altri, del disagio e della solitudine. Evocati, con rigore asciutto, ignorando il patetismo. Il bambino — l'enfant del titolo — nasce da una coppia di sbandati, lei, Sonia, diciottenne, lui Bruno, ventenne. È accolto abbastanza bene da lei, con tale indifferenza da lui da indursi tranquillamente a venderlo, così come vende ogni volta i frutti dei piccoli furtarelli che compie in strada per sbarcare il lunario. La reazione di Sonia, però, non è quella che lui si attendeva (tanto che, annunciandole la vendita, l'aveva detto, sia pure senza vero cinismo, «ne faremo un altro»): prima Sonia sviene, poi debbono ricoverarla in ospedale, quindi allontana duramente Bruno da sé. L'altro allora torna a riprendersi il bambino, anche se la banda di acquirenti ora glielo cede chiedendogli molti più soldi di quelli che gli aveva dato, senza però con questo ottenere che Sonia muti atteggiamenti e vedendosi adesso costretto, per far fronte alle onerose richieste di denaro della banda, a riprendere la strada già battuta prima dei furti e degli scippi. Ma questa volta finirà in prigione dove, rivista Sonia venuta a confortarlo, forse saprà ricominciare con lei; sperabilmente in ambiti più onesti. Una conclusione affidata solo a un gran pianto di Bruno abbracciato a Sonia, anche lei in lacrime. Ma con distacco. Senza giudicare né spiegare. Come in tutto il resto. Raccontato in una grigia cittadina belga, tra facce anonime, con le azioni, i gesti, le reazioni dei due principali personaggi rappresentati quasi con freddezza e con una partecipazione che, quando c'è, si ingegna di tenersi molto a distanza, per non coinvolgere né commuovere. La cifra, così, è quella della cronaca, svolta senza concedersi mai né commenti, né, fino all'ultimo, vere e proprie emozioni, disegnando quei due giovani al centro, ma soprattutto Bruno (perché Sonia con la maternità cambierà) con accenti quasi impersonali, come se, ad ogni svolta, in nessuna di quelle azioni potesse percepirsi una coscienza. Nei panni di Bruno, in cui più chiaramente si prospetta il segno freddo del film, c'è Jérèmie Renier, già visto ne «La Promesse», sempre dei fratelli Dardenne. Sonia è Déborah François, cui a differenza dell'altro, si concede presto di manifestare un sentimento.