Dramma nel segno monumentale di Toni Servillo e Mimmo Paladino
Era l'opera scelta di quelle ardue e cimentose: «Fidelio» di Beethoven: l'opera meno opera che mai sia esistita (a giudizio dei melomani che spasimano per Rigoletti, Pagliacci e Carmèn) e forse perciò tra le piú alte e nettaree per l'intenditore sottile, disincagliato dalle voci e da annesse arie e cabalette. Voci che Beethoven impiega qui immisericordioso, come dipoi farà, vieppiú, nella «Missa solemnis»: quasi fossero strumenti, non ugole, sí da credere che, manchevole d'udito, le sospettasse a priori. S'inabissa col «Fidelio» il mondo di cartapesta di che s'orpella il melodramma, e s'impongono le ragioni dell'arte «pura»: notoriamente scevra di bubbole e carabattole settecentesche, di stridi e bramiti ottocenteschi e di sciagurataggini novecentesche. «Fidelio» è dramma tetragono: prende l'abbrivo da un'ambientazione piccolo-borghese e s'inciela in breve negl'ideali umanitarî della fratellanza e dell'amore universali. A tali ideali sono «sacrificati» i personaggî che s'affrancano da ogni immanenza per assurgere a corruschi simboli del Bene e del Male: in una lotta destinata a sancire la fulgida vittoria del principio positivo sul negativo, giusta la «Weltanschauung» illuministico-kantiana del Nostro. Il motivo della sacra aspirazione alla libertà umana e quello della strenua dedizione amorosa nell'àmbito del sacro vincolo coniugale sono scolpiti con un linguaggio serrato e liturgico, che sopravanza il decoro classicistico tardosettecentesco per affermarsi quale modello a sé stesso. In detta chiave è stata impostata al San Carlo la regía essenziale, di cifra simbolica, posta in essere da Toni Servillo, di cui abbiamo assai apprezzati il rispetto e l'umiltà nei confronti del capodopera, peraltro da lui indigato con intelligenza fruttuosa. La ieraticità del ritmo solenne, ad accompagnare la lettura del dramma, s'è giovata del rigore d'una scenografia marmorea e monumentale firmata dall'artista Mimmo Paladino, cadenzata su oggetti scarnificati ed assolutizzati: quale la campana badiale che risuona d'una giustizia e d'un riscatto ineluttabile tra gli umani, e la testa statuaria d'un uomo disposta a terra, come caduta dal principio ordinatore e rischiarante della ragione, vittima della becera brutalità dell'intolleranza e del dispotismo. Non tralasceremo di menzionare con ammirazione gli efficaci costumi, fuori dal tempo, quasi intesi all'eternità dell'utopia beethoveniana, della signora Ortensia de Francesco. Debuttava sul podio del «massimo» partenopeo il giovine moravo Tomas Netopil, di cui non possiamo non lodare l'impegno assiduo nella volontà d'indagare e possedere i contenuti piú eloquenti della sublime e ritrattile partitura. Tuttavía, affinché non paia il nostro un elogio smodato ed acritico, rileveremo altresí le difficoltà, dal giovine piú fiate appalesate, nel dar senso adempiuto e profondità ai suoni, nel plasmare secondo le esigenze espressive il fraseggio, nell'articolare i ritmi, nel proporzionare i volumi delle sezioni strumentali, nell'imprimere significato e, al caso, drammaticità al canto, nello smaltare l'anima dell'orchestra partenopea facendola conscia dell'alta «Stimmung» in cui era d'uopo operare. Un encomio anche alla compagnia di canto, che c'è sembrata migliorare in corso d'opera, fino a raggiungere, in fine, esiti non scoraggianti: ci ri riferisce a Schulte, Villars, Charbonnet, Milling, Skibinsky, Spyres. Bene il Coro, istruito con cura da Marco Ozbic. Sfiziuso, appriesso la première, il festino nel foyer del triato illuminato a juorno, cui hanno partecipato, le signore Iervolino e Nicoletta Braschi, Giorgio Napolitano, Bassolino, Romiti, Dalla, Santoro ed in specie, nell'allicuordo nostro, chille gnòre in àbbeto scicchettuso: nello sfuorgio d'uocchi an