Paul Anka: canto swing come Bublè
Ha voglia di cantare in italiano, ricordando tutti i suoi vecchi successi nella nostra lingua, quelle indimenticabili canzoni che a volte venivano tradotte e adattate dalle sue originali, ma a volte venivano scritte appositamente per lui. Un motivo c'è. Nei suoi show in tutto il mondo, a cominciare da quelli a Las Vegas, il cantante canadese ripropone almeno tre o quattro brani interamente in italiano, a cominciare dall'indimenticabile «Ogni volta», con cui sbancò al Festival di Sanremo del 1964 (l'anno in cui per la prima volta vennero ammessi in gara gli interpreti stranieri), sotto la direzione orchestrale di Ennio Morricone. Di quel periodo italiano Paul Anka ricorda veramente tutto: dai successi da hit parade alla immatura fine di Roby Ferrante, il cantautore che scrisse «Ogni volta», fino alle ferree regole di Ennio Morricone, del quale si affretta a chiedere il telefono, visto anche che il nostro incontro avviene a poche decine di metri dall'abitazione del maestro. 64 anni, un incalcolabile numero di dischi venduti in tutto il mondo, una popolarità (ma soprattutto una considerazione) che non accenna a diminuire, Paul Anka vive (benissimo) del suo repertorio: «Diana» (la canzone che, quindicenne, lo impose all'attenzione del mondo), «You are my destiny«, «Put your head on my shoulder», «Puppy love», «Crazy love», «It's time to cry», «My way», che per la verità è una canzone francese dovuta a Claude Francois, a cui Anka regalò un testo in inglese, talmente azzeccato che Frank Sinatra nell'interpretarlo lo rese autobiografico. Ma la sua super-attività si deve in questo momento al successo dell'album «Rock swings», il 125 della sua lunga carriera, in cui, in modo alquanto disinibito, reinterpreta brani tratti dal repertorio di Bon Jovi, Spandau Ballet, Rem, Oasis, Van Halen, Nirvana, Michael Jackson e altri. «Rock swing» è stato decisamente maltrattato negli Stati Uniti, mentre in Inghilterra si è piazzato stabilmente fra i Top Ten. Mister Anka, in questo momento la sua popolarità sembra più stabile in Europa rispetto agli Stati Uniti? «Non credo che esista un atteggiamento così rigido. Negli Stati Uniti rappresento una sorta di evergreen, in Europa mi sento un perenne ospite d'onore. Però sono due realtà diverse: in Europa un "crooner" alle prese con un repertorio storico costituisce sempre qualcosa di particolare, eccentrico, mentre negli Stati Uniti l'offerta è molto più vasta». Cosa ricorda degli anni d'oro del periodo italiano? «Ho un ricordo piacevolissimo. Come dimenticare i migliori autori che scrivevano i testi in italiano per me, da Migliacci a Mogol, i maestri Morricone e Trovajoli e poi Melis, il direttore della Rca e ancora Lucio Battisti. Al Sanremo del 1968 cantai una sua canzone, "La farfalla impazzita". Cosa fa Battisti ora?» Per la verità è scomparso da alcuni anni. «Mi dispiace molto. La canzone era molto bella, in Italia ebbe poca fortuna. Comunque un ricordo bellissimo. Mi sarebbe piaciuto partecipare al programma di Adriano Celentano e spero di andare al prossimo Festival di Sanremo». In quegli anni in Italia si parlava molto della sua rivalità con Neil Sedaka, altro interprete americano molto popolare in Italia: stessa età, stesso pubblico, con il repertorio adattato, medesima casa discografica. Se qualcuno lo portava ad un certo ristorante lei voleva andarci subito, se lei faceva una passeggiata sull'Appia Antica, Sedaka chiedeva lo stesso percorso. Curioso, no? «Guardi, Neil Sedaka ha cominciato qualche anno dopo di me, pur essendo di due anni più vecchio. La verità è che se io facevo "Diana" lui proponeva "Oh Carol!", se io incidevo "It's time to cry" subito lui faceva "Crying my heart for you". Curioso, no?». Mister Anka, qual è il segreto per mantenere il successo per cinque decadi? «Rimanere sé stessi. Come diceva un mio grande amico e collega prematuramente scomparso, Bobby Darin. E soprattutto rischiare, ogni tanto. Sono fra gli scopritori di Michael Bublè, canadese come me. Beh, oggi faccio swing anch'io. Curioso, no?»