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«Il mio Caravaggio simbolo di Napoli»

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Gli ultimi anni di Michelangelo Merisi, nato a Caravaggio, furono legati a Napoli, dove si rifugiò nell'autunno del 1606, per sfuggire alla polizia romana in seguito all'accusa di omicidio e prima di morire di febbre sulla spiaggia di Porto Ercole, nell'estate 1610. A Napoli, il pittore del più crudo e oscuro realismo sperimentò l'umanità emarginata e sola, testimoniando però come proprio dalla miseria più spietata, potessero scaturire momenti straordinari di solidarietà e di rigore morale. Dai quadri caravaggeschi del film che svelano visioni di volti, luoghi e umori della città reale, il pensiero del regista vola sulla gente desolata che abita alle porte della Napoli descritta dalla Ortese, fino al ricordo di un'altra vita inquieta, quella di Leopardi. «Caravaggio, Leopardi e la Ortese sono tre artisti che in Napoli hanno trovato una rivelazione del senso della vita — ha spiegato Martone — In epoche diverse, sono stati profondamente colpiti da una città che da sempre è disincantata, che da sempre, dietro alla sua maschera di allegria e di vitalità nasconde un grande senso di morte, di consapevolezza della vanità del tutto. Il rapporto tra pittura e città è impressionante nel Caravaggio, quando incontra la capitale mediterranea. La sua è stata una immersione nella realtà quotidiana violenta e mimica, disperatamente popolare. Quello delle "Opere di misericordia" era un soggetto antico che gli sarà venuto incontro in qualche crocicchio famoso, rimescolato tra ricchi e poveri, tra miseria e nobiltà. E la camera scura è all'imbrunire in un quadrivio napoletano sotto il volo degli angeli-lazzari che fanno la "voltatella" all'altezza dei primi piani, nello sgocciolìo delle lenzuola lavate alla peggio e sventolanti a festone sotto la finestra cui ora si affaccia una "nostra donna col bambino". Caravaggio non era napoletano, ma da Napoli venne, si potrebbe dire, "ferito a morte", come Leopardi, o come Anna Maria Ortese: anime inquiete che nella nostra città hanno trovato una visione assoluta, insieme tragica e vitale, dell'esistenza umana».

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