Antonio Caprarica: «In piena estate andavo in Parlamento con questo indumento ma senza calzini»
Dietro quella striscia di tessuto capace di abbellire anche l'uomo più goffo, c'è un mondo dove forma e sostanza si incontrano in un unico abbraccio. Che non consente scappatoie. Cultore della cravatta, ne possiede un numero imprecisato, rigorosamente top secret, Antonio Caprarica, popolare giornalista, volto londinese della Rai, è per il rispetto delle regole. Per lui la cravatta è «dovere e piacere». E, a proposito dell'obbligo di indossarla per accedere alle sedi isitituzionali, ricorda così i trascorsi di giornalista parlamentare, legati ovviamente al futile-utile accessorio. «Anche in piena estate, a Roma le temperature sono bollenti, usavo entrare a Montecitorio con la cravatta e senza calzini. Si sa che in certi luoghi si va in un certo modo - commenta Caprarica - A bere una birra al pub vai come vuoi ma in alcune funzioni civili, sociali e politiche l'abbigliamento è regolato da norme precise. Che vanno rispettate da tutti. Si è liberi di accettarle non pretendere di sovvertirle per un proprio capriccio». "L'abbigliamento è lo stile del pensiero", diceva Lord Chesterfield (nulla a vedere con le sigarette). Antonio Caprarica condivide e pensa che «la cravatta possa occupare un posto adeguato, come il fazzoletto al taschino, il foulard, una giacca con le code. Ognuno è libero di interpretare le punteggiature come vuole». Sarà pur vero che «l'abito non fa il monaco» ma è fuor di dubbio che aiuta ad esserlo con le «punteggiature» giuste. Una bella cravatta è un piacere per gli occhi e un nodo robusto ma dolce fa venire voglia di toccarlo. Alle donne l'uomo con la cravatta piace, specie se indossano quella avuta in regalo. Nel gioco della seduzione la cravatta ha il suo posto. Sfilarla o semplicemente allentarla è preludio, prefazione, preparazione, piccola pausa necessaria a un momento di piacevole intimità. Osservare il proprio uomo mentre la sceglie, la indossa e conclude il movimento con la stretta finale del nodo è un istante capace di strappare un ultima carezza. La cravatta segna l'ingresso del giovane nel mondo dei grandi perchè c'è sempre un padre che insegna al figlio come fare il nodo. Se lo sguardo è limpido e l'animo non indurito dalla routine quotidiana in una cravatta si può leggere anche questo. Cravatta come modo di essere e come modi di dire: ad ad esempio «prendere qualcuno per il cravattino» (tradotto, mettere in riga); «mettersi in giacca e cravatta» (indossare gli abiti migliori); «cravatta nera» (smoking di rigore). La cravatta è l'unico "cappio" al collo degli uomini, a parte il matrimonio, che conta ottantacinque tipi di nodi. Un elenco è impossibile ma i più diffusi sono quattro: «il four in hand» o nodo semplice, nato in Inghileterra a fine '800; il «Prince Albert» o nodo doppio; il «Windsor» o Scappino, tradizione vuole che sia stato inventato dal Duca di Windsor mentre Scappino è la ditta di Torino che ne stampò le istruzioni per l'uso. Il quarto nodo è il «Mezzo Windsor» preferito da Sigmund Freud. Rimangono altri 81 di nodi con cui sbizzarrirsi. La cravatta è italiana ma gli inglesi sembrano apprezzarla più di noi. Stilisti e sartorie di alta moda hanno fatto della cravatta un simbolo del made in Italy di successo internazionale. Le cravatte di Gianni Battistoni sono un must, orgoglio romano innanzitutto e, poi, nazionale. Per il presidente dell'Associazione Via Condotti, la cravatta fa la differenza con un'unica eccezione: «le cravatte verdi della lega». La cravatta è un oggetto futile ma indispensabile, concede all'uomo la libertà del colore, della forma larga o stretta, del tessuto di lana, seta, più leggero e pesante. «È un tocco