Muti: i politici senza sensi di colpa
I quali, a differenza dei milanesi, o meglio, di parte dei milanesi ingrati che vanno tripudiando per l'abbandono del podio scaligero da parte del maestro, lo idoleggiano oramai da lustri: ed ambirebbero a far di lui, vanto fra i pochi della cultura e della vita musicale italiana, uno stabile residente presso l'Opera di Stato. L'auspicio non potrà tuttavia tradursi in súbita realtà: Muti è vincolato ad altri impegni sino al 2010. «Sono quasi trent'anni - osserva con una fierezza velata di pudica melanconía, secondo la propria indole - che lotto affinché la musica sia considerata alimento spirituale, diffuso se non privilegiato, per il nostro Paese. Provo spesse volte la sensazione d'una battaglia perduta a priori, ma poi l'istinto è quello di ricominciare: di riscendere in campo: nel tentativo di persuadere una classe politica esuberante di parole e promesse, ma al paro modesta nella concretezza dei fatti». Al Senato della Repubblica, il 18 dicembre, lei darà corso al Concerto di Natale. Fra i destinatarî anche la classe politica: s'augura di toccarne le recondite corde della sensibilità? «Da cinque anni ricevo il cortese invito. Rifiutavo perché ritengo che la musica non debba andare dai politici, ma i politici ai concerti. Stavolta ho accettato per far suonare l'Orchestra "Cherubini" formata di giovani talentuosi che offriranno ai senatori un pacco natalizio, accompagnato da un biglietto: "Che ne sarà di noi?"». Si riferisce ai tagli al fondo unico dello spettacolo? Ma è al corrente che l'opinione pubblica non sembra molto colpita ed angosciata da questi tagli drammatici che s'abbattono su la cultura del Paese? «È ovvio. Difetta agli italiani la coscienza della centralità etica e civile della dimensione culturale». Lei ha avuto modo di dire, in giorni recenti, che il "fattaccio" dell'incultura musicale, che umilia in guisa intollerabile il Paese, trae origine dalle lacune della preparazione scolastica di base, per estendersi ad ogni grado di scuola, e via via nella mentalità e nei costumi degli adulti. «Si capisce. È scandalo antico, ch'ebbe già Benedetto Croce a fomentare nella prima metà del trascorso secolo con la propria ignorante avversione e miopia nei riguardi del linguaggio dei suoni. Per il filosofo degli Abruzzi la pittura era forma d'arte ed effigia di cultura, cosí la poesia, e l'architettura, e la scultura, etc.... Mi ricordo come se fosse ora che all'esame di maturità mi furono rivolte domande su le opere e gli stili del Sassetta, del Pinturicchio e del Magnasco: pittori di pregio, non v'ha dubbio, ma forse non del genio superno e della rilevanza estetico-sociale d'un Bach, Mozart o Beethoven: intorno ai quali nessuno fra la schiera degli esaminatori, ligî ai programmi svolti nel corso liceale, ebbe a domandarmi nulla». Caro Maestro, si crede Lei che quei madornarli e grotteschi accidenti non si perpetuino sui banchi scolastici del disgraziato presente? Magari tra un decennio, in virtú d'uno schema di modernizzazione vieppiú serrata e computerizzata, non che di Beethoven e Sassetta, si tacerà di Dante, Tasso e Foscolo. «Lo so bene. E, ciò ch'è peggio, i nostri ragazzi sono oggi promossi in massa, non esclusi i portatori d'asinaggine immedicabile, che non sono punto rari, a giudicare dai disperati giudizî dei professori universitarî che li accolgono negli Atenei: questi nostri figli ad alto rischio d'indifferenza: innocentemente, inconsapevolmente disavventurati». Ma non reputa giusto che la politica in uno stato liberale s'astenga dal ficcar il naso negli indirizzi culturali ed estetici? Non si corre altrimenti il pericolo di lambire "l'arte di Stato", come occorse con le turpi piaghe ideologiche del Comunismo e del Nazismo? «Mi sono da sempre opposto a tale sciagurataggine. Io parlo di Stato, non di politica né d'ideologia. La musica è trascurata da noi perché agli italiani, e per conseguenza ai politici ed ai legislatori, manca il senso ordinatore dello Stato. Tutta